Con queste parole pronunciate dal “protagonista” si giustifica il titolo di questo romanzo edito nel 1913 e afferente al filone del verismo romantico. La parola “protagonista” è inserita tra virgolette perché in realtà Efix appare come un osservatore di vicende che lo riguardano in parte, in quanto servo della famiglia Pintor, appartenente alla nobiltà decaduta. Un giorno viene comunicato alle tre sorelle Pintor Ruth, Ester e Noemi che il loro nipote Giacinto, figlio di un’altra sorella di nome Lia, fuggita in gioventù, verrà a stare presso di loro. Efix ne è contento in quanto pensa che una figura maschile per le tre sorelle avrebbe potuto assumere un ruolo di protezione. Solo donna Noemi è titubante rispetto all’arrivo del giovane, che infatti si rivela piuttosto sprovveduto in quanto accumula debiti che paga prendendo a prestito dall’usuraia del paese. Infine sarà costretto a cercare un’occupazione altrove, lasciando sola la ragazza con cui aveva frattanto iniziato una relazione.
La narrazione viene esposta in modo piuttosto realistico, con dovizia di descrizioni dei paesaggi, ma non dei personaggi. Si tratta di una storia da cui si possono trarre spunti di carattere etnografico, sulle usanze di una Sardegna primitiva e popolana. Si parla di vecchi errori, di vecchi rancori che caratterizzano la famiglia Pintor e il fedele servo Efix, il quale nasconde però un segreto che in un certo senso è motore della vicenda in quanto ha fatto sì che l’uomo spronasse le dame Pintor ad accettare Giacinto.
Al centro della storia dunque è da un lato la debolezza umana di Efix, che partirà ad un certo punto finendo con il diventare un mendicante, dall’altro l’amore di donna Noemi per Giacinto. Quest’ultimo sentimento viene solo accennato, si allude ad esso come a qualcosa di inconcepibile per l’uomo, l’amore non platonico di una zia per il proprio nipote. Un doppio matrimonio finale stroncherà la realizzazione di ogni impossibile desiderio proibito.
Consiglio questo romanzo agli amanti degli autori veristi, a cui piaccia la descrizione di un mondo povero caratterizzato da sentimenti semplici, quasi primitivi.
Non lo consiglio a coloro che abbiano passione per lo scandaglio psicologico dei personaggi: qui non vi è eccessiva introspezione psicologica, o meglio si comprende quest’ultima indirettamente in base alle parole e ai gesti compiuti dai personaggi.
Molto suggestive le descrizioni, a tratti poetiche.
“E come può diventare una donna, se i parenti la danno, ignara, debole e incompleta, a un uomo che non la riceve come una sua uguale; ne usa come d’un oggetto di proprietà; le dà dei figli coi quali l’abbandona sola, mentr’egli compie i suoi doveri sociali, affinché continui a baloccarsi come nell’infanzia? Dacché avevo letto uno studio sul movimento femminile in Inghilterra e Scandinavia, queste riflessioni si sviluppavano nel mio cervello con insistenza”.
Struttura e contenuto dell’opera
L’opera è divisa in 3 parti, che rappresentano la vita dell’autrice;
la figura del padre, di ispirazione per la giovane, sarà poi deludente in quanto sostanzialmente abbandona la famiglia per un’altra donna
La scrittura, nutrita grazie alle letture, rappresenta per la protagonista un elemento di riscatto
Il titolo rimanda a una vicenda che vuole essere esemplare, non specifica di una persona. Sono assenti i nomi propri per lo stesso motivo
i dialoghi sono poco presenti, non appaiono molte descrizioni approfondite
Il narratore-protagonista è interno e racconta in flash-back la vicenda di una crisi di identità
Si tratta del primo testo femminista della nostra letteratura
Finalmente la donna non è più vista come proprietà dell’uomo: l’auspicio è quello di affermare le proprie capacità personali e i propri desideri, in sintesi la propria identità
Una donna non è un’opera narrativa tradizionale, rappresenta una sorta di romanzo di formazione in cui la protagonista si libera delle prigioni familiari e si ribella al proprio ruolo tradizionale di madre e moglie
La scrittura è semplice, basata su un’alternanza di narrazione e riflessione; in particolare vi sono riflessioni su temi cari alla protagonista e analisi di carattere psicologico
la struttura non è realistica, ha similitudini con i romanzi di Pirandello e Svevo
lo stile è ricco di metafore, similitudini, anafore, interrogative retoriche ed esclamazioni. Sembra una prosa quasi poetica.
Considerazioni di contesto
Nel 1946 ha inizio un nuovo periodo importante per le donne italiane, grazie al riconoscimento dei diritti politici, ma l’Italia è comunque di nuovo in ritardo rispetto ad alcuni altri paesi come ad esempio l’Inghilterra dove “la donna gode della piena capacità giuridica in materia di contratti e di beni” già a partire dal 1870. È soprattutto negli anni Sessanta però, con il baby boom, che i grandi movimenti di emancipazione femminile nascono e si estendono in Italia. Nonostante il ritardo storico complessivo dell’Italia rispetto all’Inghilterra, la Aleramo è comunque in anticipo poiché il romanzo Una donna risale ai primi del 1900. La maggior parte dei testi femministi inglesi, come A room of one’s own e Three Guineas di Virginia Woolf risalgono agli anni Venti e Trenta. Negli anni Settanta la concezione del matrimonio cambia, modificando l’idea del marito come capofamiglia e cancellando la concezione di una relazione impari tra i coniugi. La relazione paritaria guadagna terreno e l’uguaglianza della donna si afferma, cosicché il ruolo della donna non è più soltanto ristretto alla maternità e al governo di casa, ma si estende anche a ruoli nuovi.
Bibliografia
S. Aleramo, Una donna, Milano, Feltrinelli, 2013
M. Colonna, L. Costa, Le voci delle donne, La scrittura femminile nel Novecento, Milano, Paravia, 2021
Lara Dierickx, Una Donna di Sibilla Aleramo. La presenza di prototipi femminili nella prima letteratura femminista italiana, tesi di laurea, facoltà di Gent, a.a 2014/2015
Più che un romanzo, “Uomini e no” è un insieme di frammenti narrativi che rispecchiano un momento storico concitato, quello della Resistenza a Milano nel 1944. I brevi capitoletti analizzano la situazione da punti di vista diversi, cosicché il lettore si trova spesso catapultato nella realtà di personaggi dai nomi in codice, non descritti direttamente, ma indirettamente presentati dalle loro parole, azioni, gesti, interlocuzioni.
Tra gli eventi violenti perpetrati dai nazisti si verifica una strage di civili, così descritta:
“I morti al largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque Giornate, ai piedi del monumento.
Cartelli dicevano dietro ogni fila di morti: Passati per le armi. Non dicevano altro, e tra i morti erano due ragazzi di quindici anni. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. […] Come? Anche quei due ragazzi di quindici anni? Anche la bambina? Ogni cosa? Per questo, appunto, sembrava anzi che comprendesse ogni cosa. Nessuno si stupiva di niente. Nessuno domandava spiegazioni. E nessuno si sbagliava”
Oltre alla dimensione storica ciò che distingue il romanzo è una storia d’amore infelice tra Enne 2 e Berta: storia infelice in quanto lei è già di un altro uomo. Due incontri caratterizzano il procedere della narrazione, nel secondo dei quali sembra che la situazione sentimentale di Berta si sblocchi in favore di Enne 2. Tuttavia ad un certo punto lei decide di tornare da suo marito per spiegargli il suo punto di vista, lasciando Enne 2 solo e deluso. Prima di questa delusione, il partigiano rivolge a Berta bellissime parole:
“Sapevi di essere mia moglie? Non lo sapevi. E invece lo sei”.
“Quando non lo sapevo non lo ero”
“E invece lo eri” […]
“Lo sei sempre stata” egli le disse.
La baciò. E fuori dalle finestre, alte sulle altre case, ancora si vedeva, bianco e celeste negli occhi del cielo, staccato da terra, il ghiaccio delle montagne.
“Non lo sei sempre stata?” disse Enne2. “Lo sei sempre stata”.
“E le montagne?” Berta chiese. “Le hai sempre vedute?”
“Le ho sempre vedute”
“E i morti?”
“Ci sono sempre stati.”
“E gli occhi azzurri?”
“Gli occhi azzurri?”
“Di chi mi hai parlato sempre che aveva gli occhi azzurri? Era tuo padre? Erano nella tua infanzia?”
“Erano tu stessa”
“Io stessa gli occhi di tuo padre?”
“Tu stessa la mia infanzia”
“Io anche la tua infanzia?”
“Tu ogni cosa. Sei stata ogni mia cosa, e lo sei”.
“Lo sono?”
“Sei ogni cosa che è stata e che è”.
“E tua moglie?”
“Mia moglie. Mia nonna e mia moglie. Mia madre e mia moglie. La mia bambina e mia moglie. Le montagne e mia moglie”.
Il bacio di Klimt
In seguito ad una azione contro i fascisti, Enne 2 viene identificato e viene posta una taglia su di lui per chiunque lo denunci. Viene suggerito ad Enne 2 di fuggire, ma l’uomo si trattiene principalmente per attendere il ritorno di Berta.
Commento
La narrazione, decisamente frammentaria e quasi del tutto dialogica, è sicuramente particolare. La vicenda non risulta sempre facile da seguire, ma il romanzo è consigliato per chi abbia predilezione per i testi di natura narrativa o addirittura teatrale. La componente descrittiva è esigua e quella riflessiva è confinata alle pagine scritte in corsivo, che però non sembrano integrarsi particolarmente nella vicenda, ma appaiono commenti di carattere generico.
Chi è appassionato alla storia della Resistenza potrà trovare nel libro un’interessante rappresentazione realista delle figure partigiane e fasciste; ma sicuramente l’aspetto più piacevole risiede nel racconto della storia d’amore epica tra Berta e Enne 2.
Paesi tuoi è scritto nel 1939 ed esce presso la casa editrice Einaudi nel 1941.
La critica saluta il romanzo come un esempio di rinnovato verismo, ma questo è un equivoco, durato a lungo. Il linguaggio di Paesi tuoi è quello popolareggiante intriso di dialetto, così come in Verga si intravedeva in filigrana il dialetto dei personaggi, ma ci sono differenze profonde con Verga. In quest’ultimo si verificava una svolta della narrativa ottocentesca, il narratore parlava come uno dei personaggi; il narratore di Verga è interno al mondo rurale rappresentato, quello di Pavese è esterno e vede il mondo contadino dal di fuori e ciò crea il senso della narrazione, nella quale il viaggio è scoperta di un mondo diverso e ignoto. A narrare è Berto, un meccanico torinese che conosce un contadinotto, Talino, che lo invita a seguirlo nella cascina del padre nelle langhe. Berto prima rifiuta ma poi si trova in difficoltà, senza casa e senza lavoro. La focalizzazione è interna sul personaggio. Anche nella narrazione in prima persona bisogna dire che le funzioni sono diverse: un conto è chi vive i fatti, un conto è il narratore che li rivive. Il fatto che sia focalizzato sul primo tipo di narratore dà senso di immediatezza.
Il testo pavesiano allude al grembo materno della madre terra. La mammella non è solo simbolo materno pre-edipico ma anche simbolo erotico. La ricerca è pervasa da impulso erotico, le sorelle di Talino non sono molto attraenti però una di loro, come dice Berto, è meno “manza” delle altre. Berto scopre segni di violenza sul corpo di Gisella e cerca di capire cosa sia successo. Talino è figura apparentemente ridicola, sembra quasi demonica, incarnazione atroce del male, regno di violenza e sangue. I luoghi sembrano rimasti fermi a una stagione arcaica. Il critico Barberi Squarotti ha detto che il viaggio di Berto non è un viaggio nello spazio, quanto un viaggio nel tempo. La campagna conserva costumi, mentalità, riti ancestrali, anteriori alla civiltà come la si intende comunemente. E’ il regno del selvaggio. Pavese è ossessionato dall’idea del selvaggio, cui dedica molte annotazioni soprattutto nel Mestiere di vivere. L’interesse per ciò va di pari passo con le scienze antropologiche (cfr. Il ramo d’oro di Frazer). In questo senso Pavese studia riti, sangue, sesso, fuoco per rendere feconda la terra, falò accesi per fecondare i campi. Si pensava inizialmente che Pavese volesse rappresentare la realtà cruda della campagna – esiste in un romanzo naturalista, La terra di Zola, una vicenda simile. Anche Paesi tuoi a volte è stato assimilato ai primordi della corrente neorealista. Ma invece è un romanzo simbolico: ad esempio l’uccisione di Gisella sui covoni di grano è un sacrificio umano, di cui Pavese legge infiniti esempi nel libro di Fraser.
La matrice è decadente e dannunziana: la collina-mammella viene da D’Annunzio, Il trionfo della morte 1895. D’Annunzio è fondamentale nella formazione del giovane Pavese, l’interesse per il selvaggio accomuna i due autori. Alcune annotazioni del Mestiere di vivere sono illuminanti in relazione all’idea del selvaggio. Tutto ciò che lo ha interessato gira intorno al selvaggio e in questo senso Pavese cita proprio d’Annunzio.
Feria d’agosto è un libro contenente racconti, prose liriche, piccoli poemi in prosa in cui Pavese enuncia la teoria del mito centrale nella sua visione. Poi si evidenzia un gruppo di saggi sotto il titolo complessivo Del mito, del simbolo e dell’altro. Qui si comincia con la descrizione di un’estasi panica e lo scrittore confessa che di fronte alla campagna è preso come dire da una sorta di immedesimazione per cui si identifica con le varie presenze della campagna, si trasforma nel vento, nelle foglie, nel succo dei frutti cioè esattamente come in una di quelle estasi paniche di Alcyone. Però Pavese è anche consapevole dei rischi che comporta questo cedimento all’irrazionale decadente ed anzi ne era diventato consapevole proprio per l’esperienza del fascismo e della guerra: sapeva bene che l’irrazionalismo decadente era fra le matrici culturali del nazifascismo. Immergersi nell’irrazionale e restarne prigioniero non va bene, Pavese vuole portare l’irrazionale a chiarezza, ammirando il progresso. In Paesi tuoi il protagonista Berto rappresenta infatti proprio la ragione, il logos, la modernità, in quel mondo arcaico e superstizioso.
La Scapigliatura è una corrente letteraria sviluppatasi negli anni Sessanta dell’Ottocento. Ne fanno parte scrittori e poeti molto diversi tra loro ma accomunati da una stessa insoddisfazione per lo stato della letteratura italiana del loro tempo. Il termine deriva da un romanzo di Cletto Arrighi, intitolato appunto La Scapigliatura e il 6 febbraio. Il desiderio di questi intellettuali è opporsi a tutti gli ordini stabiliti, ribellarsi alla classe borghese, riprendere lo spirito bohémienne parigino, adattandolo al contesto italiano. Il centro propulsore della nuova corrente letteraria è Milano, città dove gravita anche la figura di Emilio Praga, autore della poesia-manifesto Preludio:
La poesia si apre con una dichiarazione categorica: i giovani della generazione di Praga (specie i poeti) sono figli di padri malati, padri incapaci di trasmettere valori solidi e ancora condivisibili. Sono come aquile nel periodo della muta delle piume, quando, impedite a librarsi in ampi voli, possono tutt’al più svolazzare vicino al loro nido, che però non garantisce protezione di un rifugio familiare, ma attesta il consumarsi di un disastro: il nume, il dio protettivo in cui si è creduto, sta morendo. Ormai la poesia religiosa ha esaurito la sua funzione, adesso anche il poeta simbolo di quella musa cristiana non può più comunicare nulla perché è l’ora degli anticristi, Cristo è morto nuovamente. I valori di cui si fa portatrice la spiritualità, la rettitudine, il rigore morale, la Provvidenza, sono tramontati e i nuovi autori al contrario cantano la Noia, l’eredità del dubbio e dell’ignoto: ormai la certezza positiva della fede è scardinata e domina un certo smarrimento, un’oscillazione maledetta tra una convinzione e l’altra.
Potremmo dire che qui il discorso si fa metaletterario, in quanto il poeta dichiara l’azione di “cantare” e si appella direttamente al lettore, definito “nemico” probabilmente in quanto membro della categoria borghese e benpensante. Il poeta scapigliato canta il vero, cioè la nuda e cruda realtà, con le sue brutture e contraddizioni, senza edulcorarla con maschere e ipocrisie.
Tuttavia la novità poetica prospettata è solo annunciata, ma non effettiva. La poesia rimane formalmente nel segno della tradizione (si notino le anafore vv. 6-7, 21-22, 25 e la cobla capfinida tra la seconda e la terza strofa), e dal punto di vista del contenuto sono fortissime le riprese dai Fiori del male di Baudelaire. Basta, a titolo di esempio, osservare l’explicit della famosa poesia finale della raccolta del poeta francese, Il viaggio:
E tanto brucia nel cervello il suo fuoco, / che vogliamo tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, cosa importa? / discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo.
L’abisso, l’inferno, il loto, l’ignoto, sono tutti concetti che in qualche modo la Scapigliatura recupera e trasferisce poeticamente, replicando immagini ed espedienti letterari già usati da Baudlaire.
Perché un testo scritto nella prima metà del Novecento dovrebbe essere ancora oggi valido? Si tratta di una lettura consigliabile oppure meglio evitarla per dar spazio a romanzi scritti ai giorni nostri?
“Gli indifferenti” è un classico, e come tale è senza tempo, è oltre la misura del tempo. Non si tratta di un dramma calato in una precisa dimensione storica e ad essa collegato, si tratta invece dell’espressione di dubbi esistenziali e di problemi assoluti e universali.
Moravia sceglie di concentrare l’azione in due giorni e di focalizzarla su pochi personaggi, una madre, Mariagrazia, con i suoi due figli, Carla e Michele, e due amici di famiglia, Leo e Lisa. L’intenzione è infatti, come dice l’autore, di redigere in forma di romanzo una sorta di dramma, di tragedia.
Ogni personaggio contiene in sé elementi drammatici, sfumature caratteriali e insicurezze diverse, ma tutti sono forse accumunati da un identico malessere e da una certa insoddisfazione, più o meno accentuata e cosciente, verso la vita.
Mariagrazia è il personaggio di cui sappiamo meno, nel senso che viene descritto dal punto di vista degli altri personaggi, principalmente. Sembra in un certo senso una figura negativa, per i sentimenti che suscita negli altri, ovvero pietà, rabbia, rancore. Si tratta di una donna non più giovane, con problemi economici, che accoglie in casa un amico di famiglia, Leo, di cui è segretamente amante. In verità i figli sono coscienti di questa relazione, anche perché Mariagrazia indugia spesso in scenate di gelosia verso Leo e i suoi comportamenti. Lo stesso Leo è il salvatore della donna ma anche il suo carnefice, perché richiede indietro un prestito fatto alla famiglia, altrimenti minaccia di esigere la casa di Mariagrazia per rivenderla. In verità sa che la vendita all’asta frutterebbe alla famiglia una somma notevole, con la quale potrebbero essere saldati i debiti: per questo motivo intende farsi intermediario, “derubando” Mariagrazia degli effettivi introiti derivanti dalla vendita dell’immobile. Ciò fa comunque capire la cecità della donna, che non si accorge delle reali intenzioni di Leo e che addirittura lo reputa sinceramente innamorato di lei. L’uomo rappresenta una sorta di ossessione per Mariagrazia, gelosa e incapace di misurare le sue reazioni di fronte ai figli. Emerge oltre a questo un certo egoismo un po’ infantile della donna, una tendenza al capriccio che mal si concilia con la sua età e con le responsabilità di una madre. Tuttavia, proprio per queste sue fragilità, è difficile avere Mariagrazia in antipatia: con tutti i suoi limiti, il suo comportamento è tuttavia evidente, sincero, senza troppi sotterfugi.
Leo, l’amante e amico di Mariagrazia, è un uomo non più giovane verso cui al contrario è difficile non provare antipatia: opportunista, bugiardo, meschino fino al punto da voler ingannare l’amante e da sedurne la figlia. Nonostante ciò, si tratta forse del personaggio più felice e risolto. Egli ha tutto quel che vuole ottenere e in fondo è pago di se stesso, sa essere calmo e razionale e non è scosso da dubbi o sentimenti profondi. In un certo senso è l’antagonista degli altri personaggi, ma allo stesso tempo è il perno intorno al quale essi ruotano.
Carla è la figlia ventiquattrenne di Mariagrazia, una ragazza carina pur nella presenza di alcuni difetti fisici. La sua descrizione è spesso offerta dal punto di vista libidinoso di Leo, ma apprendiamo molti dettagli anche da quello autoriferito della ragazza, mentre si guarda allo specchio. Carla è infelice e si sente intrappolata in un’esistenza senza senso, soprattutto a causa dei comportamenti infantili ed egocentrici della madre. Decide di dare una svolta alla sua vita commettendo un’azione piuttosto immorale, nella convinzione che anche un cambiamento in peggio possa comunque salvarla da quella noia e indurla a progredire in una direzione diversa.
Michele è sicuramente il personaggio più consapevole, una sorta, forse, di alter ego dell’autore. Egli ha un punto di vista chiaro e cosciente su se stesso e sugli altri, di lui conosciamo pensieri e riflessioni profonde. Sa benissimo di essere indifferente rispetto a tutti e rispetto a tutto: il suo fallimento sta proprio nel non riuscire a provare sentimenti di nessun tipo e per nessuno. Pertanto non riesce né ad amare, né ad odiare, ma spesso finge, consapevolmente, di agire spinto dall’onda di sentimenti fittizi. Michele sa che le azioni umane sono spinte tutte da una certa mancanza di sincerità, di vero affetto, di solidarietà. Sa che le persone agiscono per un tornaconto materiale, economico o, peggio ancora, fisico. Michele è dunque un censore dei comportamenti umani, di cui smaschera l’ipocrisia e la contraddittorietà. Rimane comunque destinato al fallimento, perché incapace di agire in alcun senso per realizzare ciò che reputa giusto e per affermare sé stesso nel mondo. In questo senso non differisce molto da Carla, benché la sua visione sia più lucida e matura.
Lisa è una donna dall’aspetto pingue e sereno, che sembra trascorrere, come Leo, molto tempo nella realizzazione dei suoi progetti amorosi. Si tratta di un’amica di Mariagrazia, della quale sopporta sovente accuse e capricci. A modo suo è un personaggio, come Leo, abbastanza risolto. Sa quello che vuole e agisce per ottenerlo. In questo senso è più risoluta e forte di Mariagrazia e dei suoi figli, tanto da aver capito la natura meschina di Leo e da arrivare a respingerlo.
Tutti questi personaggi ricordano forse un po’ l’aristocratica nullafacenza del giovin signore di Parini: se lì si trattava, appunto, di una critica al ceto nobile, qui, al contrario viene dipinta l’inerzia colpevole del mondo borghese, sempre interessato ad aspetti materialistici o frivoli e privo di sentimenti positivi, di concretezza, di solidarietà reciproca.
Il romanzo scorre via piacevole e rapido, il lettore è incalzato dalla curiosità di sapere cosa faranno i personaggi. Il tempo della storia è breve, si risolve tutto in un paio di giorni, ma la dovizia di particolari nelle descrizioni lo dilata molto, tanto che la vicenda sembra avvenuta nell’arco di alcuni mesi. Molto interessante il gioco dei punti di vista e la caratterizzazione psicologica non solo dei personaggi, ma anche degli ambienti e degli oggetti, descritti in relazione ai sentimenti dei protagonisti.
Possiamo dunque chiederci: è vero che di base l’uomo è indifferente rispetto a quello che gli accade intorno e finge soltanto di interessarsene e di provare emozioni e sentimenti veri? Mi sembra una domanda interessante, la cui risposta potrebbe non essere univoca. E tu, che cosa ne pensi?
Il romanzo è opera dello scrittore piemontese Beppe Fenoglio, che inizia a scriverlo nel 1960. La vicenda è ambientata nelle Langhe piemontesi all’epoca della Resistenza, tra il 1944 e il 1945.
Trama
Il protagonista del romanzo è Milton, un giovane universitario ed ex ufficiale. È sensibile e non bello, lo caratterizzano però degli occhi notevoli, “tristi e ironici, duri e ansiosi”. Il narratore ci proietta subito in una dimensione passata, descrivendo i momenti che Milton ha trascorso tempo prima con la ragazza del suo cuore, Fulvia. La situazione presente è molto diversa: Fulvia si è trasferita da Alba a Torino, mentre Milton è partigiano nella squadra del Leo, presso Treiso. Un giorno Milton fa visita alla casa di Fulvia, dove trova la governante, la quale, parlando, rivela qualcosa che colpisce molto il ragazzo, e lo ferisce nel profondo… Infatti pare che Fulvia si intrattenesse in varie serate con il loro comune amico, Giorgio, sia all’interno della casa che all’esterno.
Milton rimane sconvolto e decide perciò di spostarsi da Treiso per recarsi a trovare Giorgio, anche lui partigiano, presso la squadra di Pascal a Mango. Qui Milton attende l’amico, che si sarebbe dovuto trovare insieme agli altri del suo gruppo e invece pareva essersi attardato da qualche parte mentre tornava da una spedizione. Nell’attesa, Milton ripensa ad alcuni momenti vissuti con Fulvia e con il suo amico.
L’attesa però si fa sempre più lunga e il protagonista sente che qualcosa non va: c’era una nebbia del colore del latte quel giorno, e Giorgio poteva anche essersi perso o essere stato catturato dai fascisti. Con il tempo quest’ultima ipotesi si rivela vera e un contadino che aveva assistito alla scena racconta della cattura. Milton si attiva subito per aiutare l’amico e si reca al gruppo partigiano della Stella rossa per chiedere se avessero fascisti prigionieri, in modo da concretizzare un possibile scambio. Purtroppo la risposta è negativa: l’ultimo catturato era stato già giustiziato.
Milton decide allora di recarsi al Comitato di Liberazione. Nel tragitto si ferma a mangiare a casa di una anziana signora, con la quale parla della situazione della guerra e che gli racconta qualcosa di sé.
Mentre cammina nottetempo cade nel fango e vede soldati della brigata fascista di San Marco di Canelli. Questi sono a loro volta osservati da uomini della collina, che li scrutano con odio e con la consapevolezza che la fine della guerra non sarà vicinissima. Milton ipotizza che questa fine accadrà a maggio.
In una vigna non lontanissima dalla caserma dei fascisti il protagonista incontra una vecchia, la quale gli porta, su sua richiesta, un sandwich di pane e lardo. A sorpresa, si rivela una preziosa alleata: gli indica infatti che un fascista, un sergente, è solito recarsi una o due volte al giorno, o verso le una, dopo il rancio, o verso le diciotto, presso la casa di una donna del luogo. La casa è quasi dirimpetto alla fine di un bosco di acacie, dove Milton si nasconde in attesa.
Assalito il sergente e minacciatolo con la colt, inizia a camminare spiegandogli il suo piano. Milton non intende ucciderlo, ma vuole scambiarlo ad Alba con il suo amico Giorgio. Il sergente è comunque spaventato, a tal punto che non crede al rapitore e prova a scappare; per questo Milton è costretto ad ucciderlo.
Il narratore introduce un’ellissi e ci conduce a Trezzo dove il protagonista incontra un partigiano di sua conoscenza, Fabio, vicecomandante di un presidio. A lui regala la beretta del fascista e da lui ottiene ospitalità per la notte, e mentre altri partigiani parlano della storia di una maestra fascista, Milton non riesce a dormire e pensa continuamente, non al sergente ucciso però. Ripensa a quanto la custode gli aveva riferito di Giorgio e Fulvia e decide che l’indomani avrebbe voluto vederci più chiaro.
L’indomani a Canelli per vendicare il sergente ucciso si uccide il giovane Riccio, un quattordicenne che aveva aiutato i partigiani. Nel frattempo Milton è quasi arrivato ad Alba, alla villa di Fulvia. Pensa intensamente al suo amore per lei quando viene sorpreso da uno squadrone di fascisti. Inizia a correre mentre sente intorno a sé il rumore degli spari che fendono l’aria.
Il finale è lasciato in sospeso…
Commento
Il romanzo sembra incompiuto, racconta di una ricerca di risposte mai soddisfatta, forse potrebbe dirsi metafora dell’esistenza intera. Il protagonista è tratteggiato fisicamente e anche caratterialmente, e la sua figura in un certo senso si delinea nello svolgersi dei fatti. Tale svolgimento è rapido e affollato di parole, di azioni e di luoghi.
Potremmo individuare un doppio binario nel testo: da un lato l’aspetto emotivo e interiore di Milton, dall’altro il suo concreto agire nei luoghi della Resistenza, il suo interloquire con un mosaico di personaggi più o meno rilevanti. Il secondo è chiaramente dettato dal primo, in particolare dall’amore nutrito per Fulvia, che appare davvero il motore propulsore della storia. In effetti l’amore per la ragazza, che si rintraccia nei ricordi di Milton e sembra essersi realizzato in un lontano passato, spinge il protagonista a revocare tutto in dubbio, ad agire, a voler comprendere la verità dalla voce del suo amico, se tale ancora può dirsi. Sembra che tutti i sentimenti siano perciò oggetto di decostruzione, di dubbio e rimangano come sospesi in attesa di un giudizio.
Un altro personaggio del romanzo sono forse i luoghi: i boschi piemontesi, la nebbia, il fango, le vigne. Il narratore li dipinge con dovizia di particolari, particolari assolutamente relati al punto di vista dei personaggi, al loro contatto con l’esterno; emerge con una certa chiarezza l’atmosfera di precarietà, di freddo, di paura di violenza. I dialoghi tra i personaggi rivelano una certa familiarità tra individui e ambienti, e al contempo il senso di rassegnazione per una guerra che costringe a imporre la morte per salvare la propria vita.
Tuttavia pure nel dolore di un evento come la Resistenza, nascosto e al contempo assolutamente pubblico e collettivo, campeggia grandemente “una questione privata”, un amore forse unilaterale, ma capace di porre tutto, anche la vita stessa, su un piano secondario.
“Notturno indiano” è un romanzo scritto da Antonio Tabucchi e pubblicato nel 1984 per i tipi di Sellerio.
Il genere è singolare, in quanto risiede a metà strada tra la guida di viaggio e il romanzo breve, il cui realismo assume tratti misteriosi, quasi magici. In realtà è la storia di un viaggio che diventa una ricerca, un’investigazione apparentemente rivolta verso l’esterno: il protagonista cerca l’amico Xavier. L’India non è quella dei percorsi turistici tradizionali: vengono descritte le camere d’albergo e i pensieri suscitati dalla visione di oggetti e persone, piuttosto che i luoghi normalmente oggetto di visita.
Alcune indicazioni per comprendere il testo sono fornite dall’autore nella nota introduttiva: “questo libro”, dice Tabucchi, “oltre che un’insonnia, è un viaggio […]”, in questo “Notturno si cerca un’ombra”; l’autore ci indica dunque che l’insonnia è il motore della scrittura di un romanzo che sembra una rincorsa verso qualcosa che nemmeno esiste, ovvero un’ombra.
Tabucchi inserisce all’inizio l’indice dei luoghi visitati, affinché qualche amante di percorsi incongrui possa un giorno utilizzare il romanzo come guida.
Carta dell’India
Riassuntodei capitoli
I: L’io narrante incontra un tassista che vorrebbe condurlo a un albergo adatto a una personalità signorile come la sua; a Marine Drive, sulla spiaggia, c’è una festa religiosa, dove sono presenti anche vagabondi e mendicanti. Il “quartiere delle gabbie” era peggio di come se l’immaginava il narratore: sono presenti costruzioni di legno e stuoie, baracche, tende di stracci, botteghe, prostitute in casupole. Il primo hotel di cui si parla, Khajuraho, ha un’aria equivoca ma non sordida. La signora dell’albergo forse si chiede cosa ci faccia un occidentale in quel luogo; la camera ha pareti verdoline. Alla donna della portineria viene richiesto che sia rintracciata Vimala Sar, una prostituta, che prima lavorava lì. Al suo arrivo, Vimala guarda la lettera che ha scritto al narratore e piange; dice di averla scritta perché era al corrente dell’amicizia tra lui e Xavier. Lei dice che negli ultimi tempi Xavier era malato ed era diventato cattivo. L’uomo aveva un atteggiamento taciturno e irascibile; faceva commerci a Goa. La donna cita delle lettere di Madras, provenienti da una società di studio, la Theosophical Society. La prostituta racconta della loro storia d’amore, e che X., colpito da un triste destino, aveva bruciato tutti i suoi stessi scritti.
II: All’ospedale di Bombay , dove X. viene cercato, non è presente un archivio. Apprendiamo altre informazioni sul conto del disperso: Xavier Janata Pinto, di origini indiane, è un portoghese, e sembra non essere più rintracciabile. Era stato ricoverato in ospedale circa un anno prima. Era alto, magro, capelli lisci, della stessa età del narratore, con un’espressione tra il triste e il sorridente. Pinto scriveva racconti su cose non riuscite, errori, su un uomo che sogna un viaggio e poi si accorge che non ha più voglia di farlo. L’ospedale è in condizioni igieniche precarie, pieno di scarafaggi. Di X. nessuna traccia.
III: Il Taj Mahal è il successivo albergo visitato, si tratta di una vera e propria città, dotata persino di depuratori per l’acqua. Qui il personaggio principale richiama alla memoria momenti passati con Xavier, Isabel e Magda. Ricorda Magda piangente e Isabel illusa. Lui stesso era definito usignolo in portoghese (Rouxinol). Scrive una lettera a Isabel in cui le parla dei giorni lontani, del suo viaggio, dei sentimenti che riaffiorano nel tempo. E poi s’accorge che quella lettera era in realtà per Magda.
L’hotel Taj Mahal a Bombay
IV: Alla stazione il viaggiatore parla con un Jainista[1]: gli dice che andrà a Madras e poi a Goa. Dice di star compiendo un itinerario privato, in cui cerca delle tracce.
V: Al Coromandel Hotel il protagonista ascolta dei pezzetti di conversazione e parla con Margareth, un’ospite che in precedenza alloggiava nella sua camera, e che pare vi abbia dimenticato un pacchetto di documenti. Probabilmente si tratta di una ladra, che vuole vendicarsi di un uomo, ma il viaggiatore intende coprirla.
VI: Il viaggiatore si trova alla Società Teosofica a Madras: La Società Teosofica è un’Associazione internazionale apolitica e areligiosa, composta da donne e uomini che si riconoscono nel principio della fratellanza umana; lo scopo essenziale è quello di incoraggiare lo studio comparato delle religioni, filosofie e scienze. La teosofia (dal greco θεός, ‘dio’, e σοφία, ‘sapienza’) è un insieme di diverse dottrine esoterico-filosofiche storicamente succedutesi dal XV al XXI secolo, che si richiamano l’una all’altra.
Alla società teosofica il narratore si trova a parlare con uno studioso vestito di una casacca bianca, fine conoscitore del francese e uomo di cultura. Egli offre una cena frugale al viaggiatore, dal quale era stato avvertito mediante un biglietto, qualche telefonata e una visita pomeridiana in cui si faceva riferimento a una persona scomparsa, in modo generico. Tale individuo rispondeva al nome di Javier Xanata Pinto, un corrispondente della Società; non è facile ricavare notizie su una corrispondenza privata, e il protagonista lo apprende con disappunto, mentre cena a base di polpette vegetali e riso insipido. La conversazione tra i due non procede bene, l’indiano è particolarmente interessato a dimostrare la propria erudizione e per la sua saccenza e presunzione ispira una certa impertinenza al viaggiatore. La conversazione prosegue a colpi di silenzi, citazioni e irritazione, quando finalmente l’indiano porge un biglietto (scritto a Calangute e datato 23 settembre) al ricercatore: in esso Xavier racconta di essere divenuto un uccello notturno. Dal colloquio apprendiamo che il viaggiatore ha visitato, tra le altre cose, il tempio di Kailasantha: come di consueto, le visite turistiche vere e proprie non vengono descritte nel romanzo.
Madras, India
VII: Durante una sosta dell’autobus che porta da Madras a Mangalore -dovuta all’attesa di altro autobus conducente altri passeggeri- il nostro conosce una coppia di adolescenti, uno dei quali è probabilmente affetto da qualche malattia: infatti si tratta di un individuo di dimensioni irrisorie, apparentemente simili a quelle di una scimmia, con un volto e un corpo contorti e deformati. L’esserino è in grado di prevedere il futuro e predire il karma dei pellegrini, in quanto è un Arhant, ovvero un profeta jaino. Egli non distingue l’atma, ovvero l’anima del viaggiatore, in quanto reputa che lui non sia se stesso, ma un altro; dice che l’atma del protagonista si trova su una barca, con intorno molte luci. Qui veniamo a intuire un elemento che sarà più chiaro alla fine del libro.
VIII: a Goa il nostro arriva al colègio de S. Boaventura, dove è accolto da un guardiano e dove attende l’arrivo di padre Pimentel. A un tratto, mentre osserva l’ambiente, vede comparire un anziano con un lungo viso scavato e la testa ricoperta da un copricapo di foggia strana. Il vecchio sembra conoscere il suo viaggio e il dialogo con lui, piuttosto insolito, culmina nell’affermazione “Sono Afonso de Albuquerque, viceré delle Indie”; qui il protagonista capisce che si tratta di un matto. Dopo vari confronti, il matto chiede cosa il suo interlocutore stia facendo in quel luogo, e lui dichiara di voler fare ricerche d’archivio presso la biblioteca del collegio. L’anziano dice che si tratta di una menzogna, fino a che emerge la confessione che in realtà il vero oggetto della visita è la ricerca di Xavier. L’interlocutore replica che Xavier non esiste, è un fantasma, ed è morto, come tutti. Ben presto il dialogo si rivelerà un sogno, interrotto dall’arrivo di padre Pimentel, al quale il protagonista dice di voler andare a Calangute per sapere qualcosa su una persona.
IX: Si descrive il soggiorno presso l’hotel Zuari, a Vasco da Gama, cittadina “particolarmente brutta”.
X: Sulla spiaggia di Calangute a Goa il protagonista conosce un ex postino che aveva lavorato a Filadelphia, il quale racconta la sua storia; a lui sono richieste informazioni su Xavier, così descritto: “quando sorride sembra triste”. La compagna del postino suggerisce di cercare all’Hotel Mondovi.
XI all’Hotel Mondovi, sempre sito a Goa, il protagonista tenta di scoprire qualcosa del sig. Nightingale, alias Xavier, dal portiere, ma non scopre molto. Il maître dell’albergo invece, dietro lauto pagamento, lo indirizza a un altro hotel, di lusso.
Querim beach, Goa, India
XII: All’hotel Oberoi di Goa assistiamo allo scioglimento della vicenda, che tuttavia rimane in parte misteriosa. Sembrerebbe che Xavier si trovi lì e, conosciuta una fotografa di nome Christine, le racconti la trama del romanzo, proprio di Notturno, dichiarando di essere lui quello cercato. Apprendiamo infine che il ricercatore e il ricercato sono in realtà la stessa persona.
Tempo, spazio, personaggi, tecniche narrative
L’ambientazione è piuttosto realistica, ma per lo più non vi sono rappresentati gli spazi aperti dell’India, bensì quelli chiusi di alberghi, ospedali, luoghi di cultura, o mezzi di trasporto. Si tratta di un’India frammentata, descritta a tratti, percorsa in luoghi non noti. Gli ambienti sono descritti attraverso la voce di alcuni personaggi che compaiono come meteore, e attraverso i rumori, gli odori, i sapori e le sensazioni provati dall’io narrante. La vicenda coincide con un viaggio di pochi giorni, che potrebbe essere accaduto in qualunque momento storico; la fabula è alterata dall’inserimento di frequenti analessi, che riportano a un passato lontano: quello in cui il protagonista e l’amico Xavier erano insieme. Vengono menzionate anche due donne, che però sembrano, ad un tratto, confuse o intercambiabili.
Il narratore è interno e coincide con il protagonista, che infine si scopre essere colui che cerca e colui che è cercato, divenendo così una sorta di “doppio personaggio”.
Il protagonista non è rappresentato dettagliatamente, ma lo si inquadra attraverso ciò che dice e che fa e attraverso la descrizione del suo doppio: sembra sia un italiano che conosce il portoghese, dotato di buona cultura e piuttosto facoltoso, a giudicare dalla quantità di mance che riesce a dispensare. Tuttavia viaggia leggero, ha con sé solo una valigia. Potrebbe quasi trattarsi di un alter-ego dell’autore medesimo. Ad un tratto si dice che sta facendo delle ricerche di archivio, ma ciò che sta cercando in realtà è una persona. L’io narrante si vale della lettura di una sorta di guida, ovvero India, a travel survival kit, e si sposta con vari mezzi di trasporto; i personaggi che incontra sono descritti fisicamente, ma scarsamente caratterizzati, rappresentano più dei simboli dell’India, o delle tappe nella ricerca. Compaiono e rapidamente scompaiono, esaurendo la loro funzione narrativa di interlocutori per brevi dialoghi o di informatori in relazione alla missione investigativa del protagonista.
Lingua e stile
La lingua è semplice e colloquiale, e la sintassi è piana; lo stile è sia narrativo sia descrittivo, le descrizioni sono rapide e incisive. Si trovano lunghe pause riflessive su quanto l’io narrante vive ed osserva, e diversi dialoghi.
Intenzione dell’autore
Questo libro racconta sostanzialmente degli aneddoti di un viaggio, un viaggio di piacere a cui viene associata una sorta di inchiesta. Questa ricerca, rivolta all’esterno, sembra in realtà un’indagine interiore: è come se il protagonista ricercasse il suo Io, come se sentisse di essersi perso, di non sapere chi sia, come se provasse una sorta di crisi d’identità. Il finale è tuttavia aperto a molteplici interpretazioni, e vi è presente lo spunto metaletterario del personaggio che racconta del libro che sta scrivendo, la cui trama coincide per l’appunto con quella di “Notturno indiano”.
[1] Religione indiana, diffusa in tutta l’India (circa 2 milioni di seguaci). Si basa sugli insegnamenti di Mahāvīra (il «grande eroe», soprannome di Vardhamāna; 599-527 a.C), ultimo di una serie di 24 altri maestri
Scritto nel 1948 e pubblicato nel 1949 per i tipi di Vallecchi editore, Le ragazze di S. Frediano è in sintesi la storia di un dongiovanni, tal Aldo Sernesi, soprannominato Bob, e delle ragazze con cui intrattiene relazioni sentimentali. Il soprannome deriva al personaggio da una somiglianza con l’attore Bob Taylor, all’epoca molto noto.
Il quartiere di S.Frediano a Firenze
L’altro protagonista della vicenda è sicuramente il quartiere di S. Frediano, sito a Firenze, descritto attraverso i suoi luoghi e mediante la personalità delle figure che lo abitano, particolarmente delle figure femminili.
Tratto dal film di Valerio Zurlini del 1954
Trama:
Si tratta di un romanzo sentimentale ambientato durante e dopo le fasi finali della Seconda guerra mondiale, quelle della Resistenza partigiana. In primo luogo viene presentata l’ambientazione, ovvero “il rione di Sanfrediano”, “quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo”; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei; l’Arno vi scorre nel suo letto più disteso, vi trova la curva dolce, ampia e meravigliosa che lambisce le Cascine”. Il rione è popolato da personaggi che sembrano identificarsi attraverso il mestiere che svolgono: c’è il rivendugliolo, lo stracciaiolo, l’operaio, l’impiegato, l’artigiano marmista, l’orefice, il pellettiere; le donne sono invece trecciaiole, pantalonaie, stiratrici, impagliatrici. I sanfredianini sono sentimentali e spietati, caparbi e attivi, hanno partecipato alle vicende della storia in modo piuttosto illuminato. Le ragazze sono belle, gentili, audaci e sfrontate. Fra tutte si distingue per gioventù, bellezza e becerismo[1] una giovane impagliatrice di sedie, Tosca. Si tratta del primo personaggio descritto, una ragazza bionda di 18 anni, bella e sincera, capace di esprimere con facilità i propri pensieri. Attraverso il suo punto di vista veniamo a scoprire le vicende dei partigiani e della loro vendetta contro i fascisti, che vengono fucilati; al primo gruppo sembrerebbe appartenere il giovane Bob, che però fuoriesce da un portone, non si trova dunque nel vivo della lotta partigiana. Bob “era un giovane bruno, dai grandi occhi incredibilmente verdi, i baffetti curati e la carnagione bianca, bianca tanto che in montagna di certo non c’era stato, era un partigiano di città, e così pallido forse perché appena uscito di prigione”. Bob ha 25 anni e una fama di rubacuori all’interno del Rione, dove abita in via del Campuccio.
Tosca diventa presto la fidanzata di Bob, ma è l’ultima in ordine di tempo, cosicché la vicenda procede in ordine anti-cronologico, e fabula e intreccio non coincidono.
Bob e Tosca, dal Film di Zurlini del 1954
La prima antagonista di Tosca, in quanto pare essere stata la precedente fidanzata di Bob è Silvana, ricamatrice dai capelli scuri; a unire entrambe, in quanto si interfaccia sia con Silvana sia con Tosca, di cui è amica, è Gina, ragazza inizialmente non descritta: ella sembra immune al fascino di Bob, ma si interessa in modo sospetto alle vicende delle due giovani, dipingendo il loro fidanzato come un “donnaiolo” e riferendosi a lui con ironia. L’autore dipinge le ragazze come aggressive e vereconde allo stesso tempo, audaci, ma anche pudiche. Aldo-Bob è un elegante giovane, il quale pensa che le donne siano “arance da succhiare”; egli è luminoso e volgare come la brilllantina che indossa.
Aldo abita con la famiglia, il fratello e il padre sono imbianchini con la passione della caccia, mentre lui svolge la professione di impiegato. E’ piuttosto controllato nei gesti, ma energico al contempo, anche piuttosto atletico. Metà dello stipendio lo dà alla madre, il resto è riservato alla propria eleganza; amante del cinema e della danza, finanzia queste passioni attraverso il biliardo, di cui è un vero campione. Ha un fondo di moralità, in quanto non frequenterebbe mai i bordelli, ma non dimostra alcuna serietà nei rapporti con l’altro sesso. Si stanca facilmente della ragazza di turno, e necessita continuamente di nuove conquiste, arrivando a crearsi un vero e proprio harem. La sua fama di sciupafemmine lo porta ad essere appellato in vario modo: “il giovanotto dalle belle ciglia”, “il gallo della Checca”, “il Granduca”. Ma il soprannome duraturo sarà quello derivante dall’attore Robert Taylor, ideale di mascolinità per le giovani frequentatrici del cinema Orfeo in piazza de’ Nerli.
Nei fatti, era lui a farsi corteggiare, e quando si stancava di una ragazza non dava un taglio netto solitamente, ma si distaccava a poco a poco, con dolcezza e cinismo. Rimaneva sempre con almeno quattro o cinque ragazze. Le sue avventure rimanevano segrete fino a quando non fossero concluse: allora faceva delle allusioni in modo che nel quartiere gli ascoltatori potessero identificare la sventurata. Pur vanesio, virile e avventuroso, tuttavia sapeva contenersi, ed evitava di avere rapporti fisici con le ragazze, eccetto con una, la sua amante. La fama di Bob era paragonabile a quella del Gobbo, un ladro che aveva fatto impazzire le donne del rione nel 1919.
Il lettore viene poi a scoprire che è proprio Gina, amica di infanzia di Aldo, ad essere la sua amante segreta. Lei sta per sposarsi al solo scopo di far ingelosire Aldo e convincerlo a sceglierla. Gina, dagli occhi chiari e dai capelli neri, è una sarta proveniente da una famiglia molto povera. Probabilmente nutre un affetto sincero per Bob, che non ricambia allo stesso modo.
Tra le ragazze Bob aveva deciso di chiudere ogni rapporto con la figlia di un vetturale ubriacone, Mafalda, la quale ha i capelli rossi e un corpo prosperoso ed è tra le ragazze la più disinibita, tanto da aver avuto già rapporti con altri uomini, escluso Bob. Lo incontra un mattino di fine settembre e gli fa una scenata, ritardando il suo incontro con Bice, ragazza bionda, candida e scaltra, commessa alla Rinascente. Più distaccata delle altre, e più disillusa, anch’essa è tuttavia affascinata da Bob. Dopo aver incontrato Bice, Bob ha il consueto appuntamento con Gina e infine con Tosca, benché la ragazza vada via in fretta, probabilmente a causa della febbre, secondo il pensiero di Aldo.
La sera Aldo va al biliardo e qui ha uno scambio di battute con Gianfranco, giovane piuttosto energico e forte, che si conclude in una sorta di duello. Gianfranco intende picchiare Bob essenzialmente perché innamorato di Silvana, e scredita l’avversario dicendo che non ha partecipato alla Resistenza in modo così attivo come dice. Bob colpisce Gianfranco con un frontino e alla fine ha la meglio su di lui. Ciò lo riempie di boria e orgoglio, nonostante le ferite riportate e nonostante gli sia salita la febbre. L’indomani il giovane tenta persino di conquistare una nuova ragazza, Loretta, dandole appuntamento nella sala da ballo, dove lei però non si presenterà.
Bob gioca a biliardo -dal film di Zurlini (1954)
Il narratore lascia poi il racconto delle vicende di Bob e si concentra su quanto era avvenuto in parallelo: Tosca aveva visto Bob per caso, prima con Mafalda, poi con Bice; ne parla con Silvana, poi con Gina e con le altre ragazze e tutte sono decise a fargliela pagare, eccetto Bice, che poi alla fine si fa convincere, e Loretta, molto giovane e ancora non del tutto adescata da Bob. Per far sì che quest’ultimo adescamento non avvenga Mafalda la trattiene per impedirle di andare a ballare, in quel luogo dove il giovane la attendeva.
Sul prato delle Cascine avviene la beffa finale ai danni di Aldo, convinto di incontrarsi con Tosca e deciso a sottrarle la verginità. Tosca non è invece da sola, ma è accompagnata da tutte le ragazze. Viene richiesto al giovane di prendere una decisione, ma egli tergiversa e le minaccia di rovinare la loro reputazione. Per vendetta, le giovani, specie Mafalda e Tosca, colpiscono il giovane(il colpo meglio assetato sarà quello alle parti basse); legatolo e spogliatolo, lo trascineranno sulla carrozza del padre di Mafalda, decise a deriderlo per la sua scarsa virilità. L’unica che non partecipa in nessun momento alla beffa è Gina, colei che più ha da perdere nella situazione.
Dopo il linciaggio pubblico, Aldo perderà la faccia, e la conclusione della vicenda vede Gina maritata al suo pretendente e Aldo stesso sposato con Mafalda, che è proprio colei che il rubacuori aveva voluto allontanare. Il nuovo Casanova diverrà allora un altro giovane del quartiere, Fernando.
La vicenda, salvo il flashback iniziale che riporta ai momenti della Resistenza, dura pochi giorni, ed è ambientata in autunno.
Tutti i personaggi sono descritti, sia dal punto di vista fisico, sia da quello caratteriale. Ciascuna ragazza sembra particolarmente caratterizzata dal colore dei capelli e dal lavoro che svolge. I personaggi sono piuttosto sfaccettati: si va dalle impulsive Mafalda e Tosca, alla scaltra Bice, all’ingenua Loretta, alla timida Silvana, all’amorevole Gina.
Il narratore è esterno, giudicante, ed è frequente l’uso del discorso diretto; i dialoghi sono vivaci e tutto il lessico è popolaresco e umile, la sintassi è piana, il discorso è descrittivo-narrativo, e appare piuttosto rapido e incisivo. I titoli di ogni capitolo scandiscono la vicenda e rappresentano una sorta di scaletta degli eventi narrati.
Intenzioni dell’autore:
Il romanzo rappresenta un inno al quartiere di San Frediano, ed esprime una morale piuttosto semplice: un uomo non può volare da un fiore ad un altro, deve invece scegliere una sola donna da amare. Difatti, l’atteggiamento poligamo di Bob viene severamente punito proprio da coloro che ne erano state le vittime.
Il romanzo ebbe un grande successo, al punto che ne fu tratto un film omonimo nel 1954, con la regia di Valerio Zurlini.
Alcuni luoghi citati nel romanzo:
Chiesa e piazza del Carmine, pendici di Bellosguardo, Palazzo Pitti, bastioni medicei, Cascine, p.za Signoria, S. Croce, Cestello, Ponte alla Carraia, via della Vigna, piazza de’Nerli, porta S. Frediano, Mura S. Rosa, via Pisana, borgo Stella, via del Leone, via del Campuccio, Legnaia, piazza Piattellina, via Maggio.
[1] Becero, aggettivo di area toscana, vuol dire volgare, chiassoso, ignorante.
Quando è stato scritto il romanzo? 1948/9, pubblicato nel 1950.
Che genere di romanzo è? Si tratta di un romanzo realista, denso di spunti autobiografici. Potrebbe essere definito anche romanzo di formazione.
La luna e i falò, Einaudi, 1997
Che cosa racconta? E’ la storia di un ritorno, di una maturazione, riguarda la presa di coscienza dell’importanza delle radici e della difficoltà nel trovarle (si veda in particolare il primo capitolo). Allo stesso tempo è il racconto di un viaggio, metaforico e reale, nel mondo dell’infanzia, ormai quasi mitologico. Ma il viaggio è anche alla scoperta di nuovi mondi, ed è dovuto all’esigenza di crescita e di cambiamento. Tornare dopo essere cambiati risulta complesso, non sembra di ritrovare più se stessi. La maturazione come elemento fondamentale di questo romanzo sembra confermata anche dall’epigrafe iniziale: “For C. Ripeness in all” (Per C: maturità in tutto). Constance Dowling è l’attrice americana di cui Pavese era innamorato.
Come si chiama il protagonista? E’ soprannominato Anguilla, ed è un orfano. Vive poveramente e lavora in campagna, finché decide di partire.
Quanti anni ha? 40 anni, al momento del racconto.
Chi racconta le vicende? Il protagonista stesso, in prima persona. Il narratore è dunque interno.
Qual è la trama? Anguilla, orfano, è adottato da una famiglia modesta proveniente da un piccolo borgo contadino (probabilmente Santo Stefano Belbo, luogo natale dell’autore) e abita sulla collina Gaminella; dopo la morte di Virgilia, madre adottiva, quando ha solo 13 anni, si trasferisce presso “La mora”, tenuta del Sor Matteo, un proprietario terriero. Inizia a lavorare e vive le sue vicende adolescenziali presso la tenuta, dove è circondato dalle figure femminili delle figlie di sor Matteo, Irene, Silvia e Santa, delle cui vite e storie amorose è attento osservatore. Parte poi per la leva militare e va a Genova; lì vive esperienze antifasciste e conosce Teresa. Si imbarca in seguito per l’America, dove fa fortuna; vive probabilmente in California. Qui è presente un’altra figura femminile, Rosanne, con la quale la storia d’amore si conclude a causa della partenza di lei. Gli americani, dice il protagonista, sembrano non avere radici, sono come “bastardi” (cap. XXI).
Il protagonista, partito senza nemmeno un nome, dopo tanti anni ritorna nel periodo del Ferragosto (si racconta brevemente anche di un precedente ritorno); incontra Nuto, amico saggio, sempre rimasto al paese, e guida razionale di Anguilla. Lui rappresenta il legame con un passato che sembra ormai scomparso, come scomparsi sono gli altri personaggi della sua vita passata e gli alberi di nocciole intorno alla casa del padre adottivo.
La vecchia casa di Gaminella è stata acquistata da un povero contadino mezzadro, Valino, nel cui figlio zoppo, Cinto, Anguilla rivede se stesso da ragazzo. Valino, a causa della povertà e dei problemi economici, arriverà ad uccidere la nonna e la cognata che vivono con lui, mentre Cinto riuscirà a fuggire e avviserà Nuto e Anguilla. Il romanzo termina con il racconto della morte di Santa, uccisa dai partigiani a causa del suo doppiogiochismo.
Fabula e intreccio coincidono? No, i piani temporali sono sfalzati; la narrazione segue l’andamento dei ricordi, e si sposta continuamente dal presente al passato, dunque sono presenti molte analessi.
Qual è l’ambientazione? Il mondo rurale delle Langhe, nel Piemonte meridionale. Lo scenario è descritto con notazioni uditive, olfattive, tattili e visive. Sono frequenti i termini tecnici relativi all’agricoltura e alla vegetazione tipica della campagna piemontese (tra cui i nocciòli, che il protagonista aveva vicino alla propria abitazione e che appunto non ci sono più).
Perché il titolo? La luna influenza i raccolti e i falò servono per rendere fertile la terra; si tratta di simboli del mondo rurale, e allo stesso tempo sembrano anche simboli mitologici. I falò si accendevano anche durante le feste in campagna. Inoltre l’incendio della casa della Gaminella e il falò acceso per dar fuoco al cadavere di Santa sembrano alludere nuovamente al simbolo esplicitato dal titolo.
Quali sono i personaggi più importanti, come sono descritti e quali caratteristiche hanno? Nuto è l’amico saggio, suonatore di clarino, falegname. Durante l’adolescenza è stato compagno nella vita del protagonista, l’ha aiutato e accompagnato nella crescita. Da adulti è di nuovo una figura di riferimento, che rappresenta scelte opposte rispetto a quelle di Anguilla: non se ne è mai andato dal paese, e pensa che ci si possa restare solo non andandosene mai. Forse è Nuto il simbolo di quelle radici che Anguilla sembra non trovare. Nuto è inoltre aiutante dei partigiani, dunque vive in modo abbastanza attivo, benché prudente, un periodo storico turbolento, ovvero gli anni della Resistenza e della Repubblica di Salò.
Le figure però descritte con più dovizia di particolari sono quelle femminili, in particolare Irene, Silvia e Santa. Irene, bionda ed eterea, affascina il protagonista, che però sa di non poter arrivare a lei e dunque sente una maggiore attrazione per Silvia, mora e più passionale. Le ragazze sono però figlie del suo padrone, quindi ha con loro solo un rapporto di subalternità. Tuttavia la seconda parte del libro è tutta concentrata sul racconto delle loro vicende, con il rammarico quasi di non avervi preso parte.
Tutti i personaggi del passato di Anguilla, più o meno rilevanti, tranne Nuto, vengono citati in assenza: molti infatti sono defunti, o comunque non sono più presenti in paese. Anche questo contribuisce al senso di sradicamento del narratore, deciso alla fine a ripartire.