GRAMMATICA, GRAMMATICA LATINA

Come tradurre il latino: alcune indicazioni utili.

Imparare a tradurre è principalmente una questione di pratica. Può esserti utile procedere in un modo ben preciso e sempre uguale, per facilitarti e velocizzare il compito. Ecco un metodo che puoi seguire:

  • Leggi bene il titolo, l’eventuale riassunto iniziale e il testo per farti un’idea del contenuto.
  • Sottolinea i verbi di modo finito (inclusa la perifrastica attiva). Ricorda: 1 verbo = 1 proposizione.
  • Cerchia i verbi di modo non finito (participi, infiniti)
  • Individua eventuali congiunzioni subordinanti o coordinanti
  • Dividi, tramite delle barre verticali, le varie frasi che compongono il periodo. In questo caso, la punteggiatura potrebbe venirvi in soccorso, perchè suggerisce già degli “stacchi” (le virgole segnalano incisi o dividono due frasi, così come le parentesi). Anche le congiunzioni possono facilitarvi il compito. Individua la proposizione principale e isola le altre proposizioni, provando a classificarle in base al modo verbale e alle congiunzioni che le introducono.
  •  per ciascuna proposizione, poi:
  1. Collega al verbo un soggetto (caso nominativo) – osserva bene la persona del verbo, se è singolare o plurale (eventualmente osserva il genere, se si tratta di un verbo passivo)
  2. Se il verbo è transitivo, cerca un complemento oggetto (caso accusativo)
  3. Individua gli altri complementi (possono essere introdotti da preposizioni)
  4. Collega eventuali aggettivi (accordo: caso-genere-numero) e apposizioni (accordo: caso) al nome a cui si riferiscono
  5. Collega i participi all’eventuale sostantivo a cui si riferiscono (non sempre è espresso), facendo ipotesi sulla loro possibile funzione. Isola gli ablativi assoluti.
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  • Solo dopo aver fatto l’analisi logico-sintattica cerca le parole sul dizionario; prima i verbi, e poi ricostruisci i nominativi dei sostantivi, ragionando per esclusione.
  • Una volta compreso il contesto, cerca il significato più adatto tra quelli proposti dal vocabolario (il contesto si chiarisce via via)
  • Se hai difficoltà con una frase, prova a passare a quella successiva e poi a tornare indietro.
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N.B:

Ricorda che il verbo è importantissimo perché dalla sua costruzione puoi risalire ai complementi presenti. Esempio: il verbo “dare” può reggere un accusativo (complemento oggetto) e un dativo (complemento di termine), come nella frase “Do tibi librum”.

Tieni presente che alcuni verbi hanno costrutti particolari, ovvero reggono casi diversi da quello che sembrano (ad esempio Peto Quaero reggono l’accusativo della cosa chiesta e a, ab della persona a cui si chiede). Osserva bene le indicazioni del vocabolario.

GRAMMATICA LATINA

Il participio presente e perfetto in latino: formazione, esempi e caratteristiche

Osserva i seguenti esempi in italiano:

  1. Un rumore assordante mi ha svegliato. •In analisi logica “assordante” è un attributo – si tratta di un aggettivo formato dal participio presente del verbo “assordare”.
  2. I medicinali scaduti sono stati buttati via. •In analisi logica “scaduti” è un attributo – si tratta di un aggettivo formato dal participio passato del verbo scadere.
  3. Il treno proveniente da Roma è in arrivo al binario 5. • «Proveniente» è un verbo; si tratta del participio presente del verbo «provenire», significa: «che proviene».
  4. Risolto quel problema, Luca andò al lavoro. • «Risolto», è un verbo; si tratta del participio passato del verbo «risolvere», significa: «dopo che quel problema fu risolto».
  5. Lucia si svegliò, spaventata da un rumore. • «Spaventata» è un verbo; si tratta del participio passato del verbo «spaventare», significa: «poiché era stata spaventata».

Caratteristiche del participio:

•E’ un modo indefinito, cioè non dà indicazioni sulla persona del soggetto.

•Può essere presente o passato.

•Partecipa alle proprietà del verbo e a quelle del nome e dell’aggettivo (i latini lo chiamano «participium»).

•In italiano il participio presente per lo più ha funzione di aggettivo, mentre il participio passato ha valore di verbo con maggiore frequenza. Inoltre il participio passato si usa per formare i verbi alla diatesi passiva e per i empi composti di forma attiva.

Formazione in latino – participio presente:

•Al tema del presente aggiungiamo il suffisso –NT-; il nominativo è SIGMATICO, con scomparsa consueta della dentale. Si declina come un aggettivo della seconda classe a una uscita.

•1 coniugazione – VOCA– NT –S> VOCANS / VOCANTIS

•2 coniugazione RETINE – NT-S> RETINENS / RETINENTIS

•3 coniugazione CONDE – NT- S> CONDENS/CONDENTIS

•4 coniugazione SENTIE – NT – S> SENTIENS/SENTIENTIS

•VERBI IN –IO CAPIE-NT-S> CAPIENS/CAPIENTIS

  • L’ablativo singolare è in –I quando il participio ha funzione di aggettivo
  • L’ablativo singolare è in –E quando il participio ha funzione verbale
  • Il participio presente ha significato attivo, è proprio di tutti i verbi, transitivi e intransitivi (tranne di SUM)
  • Esprime un rapporto di contemporaneità rispetto all’azione del verbo nella sovraordinata •Traduzione in italiano: participio presente, frase relativa, o gerundio presente. •ES. VOCANS: chiamante, che chiama/chiamava, chiamando.

ESEMPI:

•Est lex nihil aliud nisi recta ratio imperans honesta (Cic) • “La legge non è nient’altro che una giusta regola che comanda ciò che è onesto”.

•Philippo Pellae hibernanti Aetolorum defectio nuntiata est (Liv) • “A Filippo che svernava a Pella fu annunciata la ribellione degli Etoli”.

Formazione in latino – participio perfetto:

•Al tema del SUPINO si aggiungono –US/-A/-UM. Si declina come un aggettivo della prima classe. I verbi privi di supino non hanno il participio perfetto.

•1 coniugazione VOCAT- US/A/UM

•2 coniugazione RETENT- US/A/UM

•3 coniugazione CONDIT-US/A/UM

•4 coniugazione SENS-US/A/UM

•VERBI In –IO CAPT-US/A/UM

  • Il p. perfetto esprime un valore di ANTERIORITA’ rispetto all’azione della sovraordinata
  • Il p. perfetto dei verbi attivi ha significato PASSIVO (solo i verbi TRANSITIVI LO HANNO, quelli intransitivi lo hanno solo per formare il passivo impersonale es. perventum est – si giunse)
  • Si traduce usando il participio passato, una frase relativa o il gerundio passato.
  • ES: VOCATUS: chiamato, che è/era stato chiamato, essendo stato chiamato.

ESEMPI:

•Locum reperit egregie natura atque opere munitum (Ces) • “Trovò un luogo ben difeso dalla natura e dalle opere di fortificazione.”

•Militiadis auctoritate impulsi Athenienses copias ex urbe eduxerunt (Nep) • “Spinti dall’autorità di Milziade, gli Ateniesi condussero le truppe fuori città.”

STORIA DELLA LINGUA ITALIANA

Dal latino alle lingue romanze

L’INDOEUROPEO

Gli studiosi hanno osservato alcune lingue dell’Europa e dell’Asia rilevando la presenza di corrispondenze fonologiche, grammaticali e lessicali: per queste caratteristiche comuni le hanno definite lingue “indoeuropee”. L’indoeuropeo è una fase linguistica antica di cui non abbiamo documenti, ma di cui si congettura l’esistenza per spiegare appunto i tratti comuni tra varie lingue dell’Europa e dell’Asia.

La parola Indoeuropeo richiama all’India e all’Europa: in effetti Indoeuropee sono le popolazioni che nel V millennio a.C sono stanziate in un ampio territorio compreso tra l’Europa centrorientale, il Caucaso, le steppe attorno al Caspio e al mare d’Aral. Nel corso del tempo queste popolazioni si allontanano dalle sedi originarie e si suddividono in etnie sempre più differenziate.

Risultati immagini per popoli indoeuropei
Schema sommario del processo di indoeuropeizzazione dell’Eurasia tra V e I millennio a.C.,
Dbachmann (talk · contribs) [CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/)%5D

LINGUE EUROPEE:

  • Lingue celtiche: gallico (scomparso), irlandese, bretone, gallese;
  • Latino;
  • Lingue italiche: venetico, osco, umbro (scomparse);
  • Lingue germaniche: inglese, tedesco, olandese, danese, svedese, norvegese; gotico (scomparso);
  • Greco;
  • Albanese;
  • Lingue baltiche: antico prussiano (scomparso), lituano, lèttone;
  • Lingue slave: sloveno, ceco, polacco, russo;

LINGUE DELL’ASIA MINORE:

  • Armeno;
  • Frigio (scomparso);
  • Lingue anatoliche es. ittito e lidio (scomparse);

LINGUE DELL’ASIA CENTRALE:

  • Indoiraniche es. indiano, iranico.
  • Tocario, scomparso.

IL LATINO CLASSICO E IL LATINO VOLGARE

Già dal II millennio a.C sappiamo che una popolazione indoeuropea si è stanziata in Italia sui monti Albani, nella zona tra il fiume Tevere e il mar Tirreno: a quest’area si dà il nome di Latium e Latini sono coloro che la abitano.

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Mappa del Lazio, II-I millennio a.C
Di Cassius Ahenobarbus – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=26875434

La tradizione e gli studi archeologici attestano la fondazione di Roma intorno all’VIII secolo a.C. Il latino si diffonde da questa zona circoscritta del Lazio a molti altri territori, di pari passo con le conquiste dei Romani. Il latino diventa lingua letteraria probabilmente intorno al III secolo a.C e raggiunge la sua massima diffusione durante l’età imperiale. Con il declino dell’impero anche la lingua latina si trasforma e da questa evoluzione e differenziazione nascono le lingue neo-latine o romanze (600/800 d.C). Il latino a questo punto continua ad essere usato come lingua di cultura, per lo più scritta.

CRONOLOGIA DEL LATINO

Il latino che oggi si studia a scuola è il latino classico, ma le lingue romanze non sono nate dal latino classico, bensì da quello volgare, o meglio dal latino parlato. Il latino parlato da tutti è una lingua che tende a mutare, a trasformarsi; e quindi tra latino classico e latino volgare sussistono alcune differenze che riguardano la fonologia (i suoni), la morfologia (la forma delle parole), la sintassi (le strutture della frase) e il lessico. Ma il latino classico e quello volgare sono comunque la medesima lingua, con delle differenze.

LE LINGUE ROMANZE

Il latino nel corso del tempo e con il procedere delle conquiste di nuovi territori come si è detto si trasforma, e muta in base a fattori diversi:

  • ad esempio il latino di partenza dei conquistatori era diverso in base alla regione d’Italia da cui provenivano;
  • la lingua variava anche in base al momento della conquista, all’epoca in cui essa avveniva;
  • il contatto con le lingue dei popoli sottomessi era causa di nuove trasformazioni all’interno del latino (la lingua dei vinti poteva influenzare la pronuncia, il vocabolario ecc.).

Più tardi anche la diffusione del Cristianesimo e le invasioni barbariche hanno influenzato molto l’evoluzione del latino volgare. In particolare, in seguito alle invasioni, da alcune zone dell’impero romano il latino scomparve (dall’Africa, dall’Inghilterra, dall’Europa centrale al di là delle Alpi, da gran parte dei Balcani), mentre in altre regioni si differenzia in una grande varietà di parlate che si possono raggruppare in 11 rami principali.

Le lingue neolatine avranno dei tratti conservativi rispetto al latino, e dei tratti innovativi. La lingua più conservativa è il rumeno, quella più innovativa è il francese.

Facciamo alcuni esempi: rispetto al latino il rumeno mantiene alcuni casi scomparsi nelle altre lingue romanze (ad esempio il genitivo, dativo, vocativo) e conserva il neutro come categoria grammaticale. Il francese invece ha dei tratti innovativi rispetto al latino, come ad esempio l’uso obbligatorio del pronome personale con il verbo, un ordine dei componenti della frase più rigido (soggetto+verbo+oggetto), l’eliminazione del passato remoto.

In generale le lingue romanze più orientali sono più conservative, mentre quelle occidentali sono innovative. L’italiano è in una posizione intermedia, di equilibrio.

Bibliografia:

M. Dardano, Manualetto di linguistica italiana, Zanichelli, 2005.

STORIA MEDIEVALE

Come gli umanisti hanno cambiato la scuola

Francesco Petrarca odiava la scuola, e aveva un’opinione molto negativa degli insegnanti. Ebbene sì, stiamo parlando proprio di uno dei più grandi letterati italiani, uomo di profonda cultura, fine conoscitore dei testi latini. In una delle sue epistole Familiares, la XII-2, esorta l’amico Zanobi da Strada, maestro di scuola, a lasciar perdere l’insegnamento, mestiere adatto a chi non è capace di far di meglio e non ha ambizioni in termini di guadagno e di gloria. Gli insegnanti, sostiene il poeta, amano sentire sotto di sé esseri inferiori da poter tiranneggiare, terrorizzare e torturare. I veri maestri invece, per il poeta toscano, sono i grandi autori latini del passato.

Forse questo parere troverà concordi molte persone ancora oggi, tuttavia conviene dare uno sguardo all’organizzazione della scuola nel Medioevo. Nella civiltà dei Comuni esistevano sia scuole vescovili sia scuole laiche, dovute o all’iniziativa privata di un singolo o di una corporazione oppure all’azione pubblica, con maestri stipendiati dal Comune. Esistevano poi due livelli di scuola, quello dei non latinantes e quello dei latinantes (coloro che imparavano a comporre in latino).

  • Non latinantes:
  • Pueri de tabula (tabula=foglio di carta), imparavano a leggere e a scrivere; il loro libro di riferimento era il Salterio, ovvero il testo che raccoglieva i Salmi.
  • Donatisti: coloro che iniziavano a studiare la morfologia del latino, imparando a memoria le regole del Donatus, una grammatica molto usata all’epoca. Il libro di lettura erano i Disticha Catonis, ovvero una raccolta di sentenze in esametri.
  • Latinantes:
  • Minores: proseguivano con lo studio della grammatica latina sul Doctrinale di Alessandro di Villedieu e leggevano gli auctores minores, tra cui ad esempio Esopo.
  • Proseguivano poi con gli auctores maiores (ad esempio Virgilio, Ovidio, Terenzio, Lucano, Stazio, Seneca), guidati da un auctorista.

Studenti di filosofia alla Sorbona di Parigi, in abiti e tonsura da chierici (Grandes Chroniques de France)
Di sconosciuto – Castres, bibliothèque municipale, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3915867

Sferzate e punizioni corporali erano, nella scuola medievale, all’ordine del giorno; se ci aggiungiamo poi che i cosiddetti auctores minores erano considerati di bassa qualità da Petrarca, non è difficile capire perché il grande poeta avesse una pessima considerazione dell’istituzione scolastica. Del resto egli stesso era un vero autodidatta, imparava da solo grazie alla lettura dei grandi autori latini del passato.

Petrarca, per quanto pre-umanista, era ancora immerso in una mentalità decisamente medievale. Ma in pieno umanesimo, circa un secolo dopo, molti uomini di cultura misero la scuola al centro della loro riflessione e iniziarono ad elaborare nuove teorie pedagogiche.


Niccolò Perotti, ”Rudimenta grammatices’ 1468. A sinistra un libro manoscritto (che funge da ”exemplum”) e, a destra, la corrispondente pagina stampata.

Gli umanisti, che avevano riscoperto il latino dei classici, non potevano essere concordi con l’idea di un’educazione basata sul latino corrotto e imbarbarito degli auctores minores , né ritenevano di buona qualità i manuali scolastici in uso. Per queste ragioni cercarono di modificare la scuola dal suo interno, elaborando nuove teorie educative e didattiche:

  • Le punizioni fisiche non servivano all’educazione dei fanciulli;
  • Era necessario studiare in modo diretto gli autori latini, snellendo lo studio della grammatica;
  • Si doveva curare molto la pronuncia, l’ortografia, la metrica, il lessico;
  • Molto utile era la traduzione di brevi frasi dal volgare al latino e la composizione libera di testi;
  • Il maestro e i fanciulli dovevano conversare in latino;
  • Grande importanza avevano le discipline scientifiche e la filosofia.

Fondamentale era inoltre per gli umanisti che i fanciulli avessero una buona conoscenza dei concetti, ma anche che sapessero esprimerli in modo degno, ricco, adorno. Dal momento inoltre che era stato riscoperto il greco grazie al maestro bizantino Crisolora, anche questa lingua diventò oggetto di insegnamento.

Tra gli umanisti, i maggiori pedagoghi furono Guarino Veronese e Vittorino Rambaldoni. Il primo sosteneva che il fanciullo dovesse sviluppare la sua persona in modo completo, e per questo riteneva importanti anche l’educazione fisica, l’attività sportiva e la socialità tra i discenti. Vittorino invece poneva molto l’accento sulla rettitudine morale dei giovani e sulla loro attitudine alla riflessione interiore, legata anche allo studio approfondito dei testi sacri. Gli umanisti, spesso, scrissero delle grammatiche del latino ad uso dei propri studenti: ne sono esempio le Regulae di Veronese (1428) e il successivo e fortunato Rudimenta grammatices di Niccolò Perotti (1468).

Di Giovanni Battista Gigola, Joseph Benalea – Carlo de’ Rosmini, Vita e disciplina di Guarino Veronese e de’ suoi discepoli, Brescia, Niccolo’ Bettoni, 1805, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3470516

Certamente queste ventate di rinnovamento interessarono principalmente le classi più elevate, mentre per gli altri la scuola rimase a lungo immutata, sia nei metodi sia negli strumenti in uso. Tuttavia le nuove posizioni degli umanisti furono di grande rilievo per condurre a una trasformazione in positivo dell’istituzione scolastica. Come ha sottolineato lo studioso Cesare Vasoli,

la scuola umanistica sarà alla base della pedagogia europea sin quasi ai giorni nostri (Immagini umanistiche, p. 54).

  • FONTI:
  • G. Cappelli, L’umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Carocci, 2007.
  • S. Rizzo, Il latino nell’Umanesimo, in Letteratura italiana, V, Le questioni, Torino, Einaudi, 1986.