LETTERATURA ITALIANA

Sono una santa non sono una donna: come Manzoni presenta Lucia

Lucia Mondella, uno dei personaggi più noti della letteratura italiana. Una donna del popolo, umile e semplice, che Manzoni descrive con la maestria di un perfetto ritrattista.

In primo luogo vediamo che la protagonista femminile dei Promessi Sposi è presentata dal pensiero che di lei ha Renzo; il giovane infatti ha appena saputo che il suo matrimonio non può essere celebrato e tra molte riflessioni viene colto dal ricordo della sua amata.

“E Lucia?” Appena questa parola si fu gettata a traverso di quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v’entrarono in folla. Si rammentò degli ultimi ricordi de’ suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de’ santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti, all’orrore che aveva tante volte provato al racconto d’un omicidio; e si risvegliò da quel sogno di sangue, con ispavento, con rimorso, e insieme con una specie di gioia di non aver fatto altro che immaginare. Ma il pensiero di Lucia, quanti pensieri tirava seco! Tante speranze, tante promesse, un avvenire così vagheggiato, e così tenuto sicuro, e quel giorno così sospirato! E come, con che parole annunziarle una tal nuova? E poi, che partito prendere? Come farla sua, a dispetto della forza di quell’iniquo potente? E insieme a tutto questo, non un sospetto formato, ma un’ombra tormentosa gli passava per la mente.

Si osserva che la figura di Lucia distoglie immediatamente Renzo dall’idea di commettere un omicidio ai danni dell’odiato don Rodrigo. Si comprende dunque l’importanza che la ragazza ricopre nella vita del giovane e la positività della sua natura viene tracciata fin da subito. A lei si associano gli ultimi ricordi de’ suoi parenti e persino figure sacre, ovvero Dio, la Madonna e i santi. L’immagine di Lucia ricomparsa alla memoria implica tanti pensieri, relativi a un avvenire non ancora definito ma sospirato e immaginato.

F. Cioni, Paese di campagna

Dominato da questi pensieri, passò davanti a casa sua, ch’era nel mezzo del villaggio, e, attraversatolo, s’avviò a quella di Lucia, ch’era in fondo, anzi un po’ fuori. Aveva quella casetta un piccolo cortile dinanzi, che la separava dalla strada, ed era cinto da un murettino. Renzo entrò nel cortile, e sentì un misto e continuo ronzìo che veniva da una stanza di sopra. S’immaginò che sarebbero amiche e comari, venute a far corteggio a Lucia; e non si volle mostrare a quel mercato, con quella nuova in corpo e sul volto. Una fanciulletta che si trovava nel cortile, gli corse incontro gridando: – lo sposo! lo sposo! – Zitta, Bettina, zitta! – disse Renzo. – Vien qua; va’ su da Lucia, tirala in disparte, e dille all’orecchio… ma che nessun senta, né sospetti di nulla, ve’… dille che ho da parlarle, che l’aspetto nella stanza terrena, e che venga subito –. La fanciulletta salì in fretta le scale, lieta e superba d’avere una commission segreta da eseguire.

Osserviamo l’abitazione di Lucia: un po’ fuori dal villaggio, con un piccolo cortile cinto da un muretto; si tratta di un luogo umile che con la sua semplicità sembra preannunciare anche l’indole delle sue abitanti. Dall’edificio si sentono dei rumori, un ronzio, probabilmente proveniente dal chiacchiericcio delle amiche della futura sposa. Una ragazzina, Bettina, viene incaricata di chiamare Lucia – non di rado ragazzi giovani ricoprono questi incarichi di “servizio” nel contesto del romanzo.

 Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch’esse, a ricami. Oltre a questo, ch’era l’ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d’una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare.

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Lucia in un’illustrazione dell’edizione del 1840 de I Promessi Sposi

Lucia è vicina alla madre e alle amiche che vogliono vederla “ben vestita” come è, “attillata”. Il nome di Lucia è tipico e molto frequente in quanto è quello di una santa piuttosto nota e Manzoni intende dipingere una realtà quotidiana, concreta e verosimile, per cui attinge i nomi propri dal panorama lombardo e religioso del tempo.

“Mondella” deriva dall’aggettivo “mundus” e dal sostantivo “munditia” quindi richiama all’idea di pulizia, di purezza. La prima caratteristica della giovane appare legata alla personalità, infatti viene definita modesta, ritrosa, pudica, poiché si vergogna a mostrarsi alle astanti nel suo abbigliamento da festa. Mentre aggrotta le sopracciglia, però, fa un leggero sorriso, che ci fa intuire uno stato d’animo comunque gioioso. Il primo dettaglio fisico, quasi l’unico, enunciato, è relativo al colore dei capelli e all’acconciatura della ragazza, tipica delle contadine del milanese. Vediamo inoltre l’abbigliamento completo, rappresentato con intento documentario dall’autore, al quale sta molto a cuore la verosimiglianza di quanto racconta. La giornata da futura sposa colora sul viso di Lucia una certa gioia e un leggero turbamento, tipico delle donne pronte al grande passo del matrimonio. Possiamo definire Lucia una bella ragazza? La bellezza è “modesta”, accresciuta dalle emozioni provate in quel particolare momento.

La piccola Bettina si cacciò nel crocchio, s’accostò a Lucia, le fece intendere accortamente che aveva qualcosa da comunicarle, e le disse la sua parolina all’orecchio. – Vo un momento, e torno, – disse Lucia alle donne; e scese in fretta. Al veder la faccia mutata, e il portamento inquieto di Renzo, – cosa c’è? – disse, non senza un presentimento di terrore. – Lucia! – rispose Renzo, – per oggi, tutto è a monte; e Dio sa quando potremo esser marito e moglie. – Che? – disse Lucia tutta smarrita. Renzo le raccontò brevemente la storia di quella mattina: ella ascoltava con angoscia: e quando udì il nome di don Rodrigo, – ah! – esclamò, arrossendo e tremando, – fino a questo segno! – Dunque voi sapevate…? – disse Renzo. – Pur troppo! – rispose Lucia; – ma a questo segno! – Che cosa sapevate? – Non mi fate ora parlare, non mi fate piangere. Corro a chiamar mia madre, e a licenziar le donne: bisogna che siam soli. Mentre ella partiva, Renzo sussurrò: – non m’avete mai detto niente. – Ah, Renzo! – rispose Lucia, rivolgendosi un momento, senza fermarsi. Renzo intese benissimo che il suo nome pronunziato in quel momento, con quel tono, da Lucia, voleva dire: potete voi dubitare ch’io abbia taciuto se non per motivi giusti e puri?

Renzo parla con Lucia: il matrimonio è rimandato - I Promessi Sposi cap. II
Renzo parla con Lucia: il matrimonio è rimandato – I Promessi Sposi cap. II

Vediamo come si relaziona Lucia con il suo promesso sposo: sembra sicuramente intuitiva, perché comprende che c’è qualcosa di strano nel comportamento di Renzo, e quel qualcosa le instilla subito un presentimento di terrore. Lucia realizza immediatamente la difficoltà della situazione e agisce in modo deciso. Il dialogo con Renzo è serrato, ma è evidente anche la reticenza di Lucia la quale però fa capire al giovane che non avrebbe potuto parlare in ogni caso e che il silenzio aveva motivazioni più che giuste, persino “pure”.

STORIA MEDIEVALE

Amore e cavalleria, da “La cavalleria medievale” di Jean Flori

“L’amore non è sempre esistito, è un’invenzione francese del XII secolo”. L’amore, nella sua forma sentimentale e sensuale, nasce in Francia, in ambito aristocratico e cavalleresco. La cavalleria (ovvero la classe dei guerrieri a cavallo) è profondamente legata concetto di amore.

L’amore, la donna e il matrimonio

cristine
Christine de Pizan in una miniatura del XV secolo

Nella civiltà dell’Occidente cristiano medievale la donna non è più in condizione di minorità, bensì ha dei diritti: può ad esempio ereditare, governare, stare in giudizio, e non può essere sposata contro la sua volontà, né essere ripudiata in modo arbitrario. Può persino ottenere il divorzio. Ovviamente si tratta di un iter molto lungo, fatto di piccoli progressi, basti pensare che nell’XI secolo l’Occidente cristiano aveva appena iniziato a fare del matrimonio un sacramento, e che ancora non tutti i matrimoni avevano l’amore come base.

Chiesa e aristocrazia hanno, del resto, una visione molto differente dell’amore e del matrimonio. Ad esempio, la chiesa dà molto valore all’idea della castità, e le unioni carnali sono appena tollerate nel matrimonio, ma per il fine esclusivo della procreazione; ogni sensualità è considerata lussuria, anche nel matrimonio stesso.

Per gli aristocratici il matrimonio è prima di tutto una necessità sociale, funzionale a stringere alleanza politica tra due caste o a porre fine a un conflitto tra esse; ovviamente le unioni di questo genere difficilmente contemplano l’amore, e anche se la sposa, raggiunta un’età minima, deve comunque dare il suo consenso, tuttavia difficilmente questa condizione non si realizza, anche a causa della pressione familiare.

ontano
Il matrimonio medievale http://www.ontanomagico.altervista.org

 

La donna, l’amore e la corte

Per i nobili dunque la donna è una sorta di pedina politica, e ancor di più lo è per i cavalieri, i quali hanno la possibilità di elevarsi se riescono ad ottenere la mano della figlia di un signore. Va detto che, per limitare la riduzione del patrimonio signorile causata dalla frammentazione dei beni nella successione ereditaria, viene adottato spesso quale stratagemma la limitazione dei matrimoni. In ogni famiglia solo alcuni si sposano, a volte solo un figlio, mentre gli altri entrano a far parte del clero o rimangono comunque celibi. Poi sempre più spesso solo il primo  figlio eredita, mentre gli altri raccolgono solo pochi rimasugli, in modo tale che il patrimonio risulti pressoché intatto. Si forma così una importante categoria di uomini, quella dei giovani guerrieri che trovano sostentamento nella casa del padre, del fratello o di un parente, e che sono destinati al celibato, a meno di non trovare una sposa di alto lignaggio capace di garantire loro una sorta di promozione sociale. Questi cavalieri si chiamano juvenes o baccellieri, e sono alla continua ricerca di un patrimonio femminile, mentre la loro vita dipende dal castellano alla corte del quale sono a servizio.

L’amore detto “cortese”

La corte del signore si prestava benissimo dunque alla nascita dell’amor cortese, cantato dai trovatori (ovvero dai compositori ed esecutori di poesia lirica) dell’inizio del XII secolo: si tratta dell’amore profondo ed esclusivo che un giovane cavaliere consacra a una dama di rango più elevato, la quale spesso è sposata al signore da cui il cavaliere dipende. In un certo senso questi diventa doppiamente vassallo, perché anche con la donna egli intreccia una relazione vassallatica, essendole subordinato. La dama impone al suo spasimante delle prove, per ritardare il momento dell’unione. Questo amore non è platonico, ma non è pienamente soddisfatto: si configura come tensione continua tra il desiderio e il suo appagamento. Come cantano i trovatori, la gelosia del marito potrebbe sottrarre la donna all’adorazione dei suoi fedeli.

In questa concezione cavalleresca e cortese l’amore viene ad assumere dunque un valore fondamentale, e questo è un fatto nuovo, e ancora più innovativa è l’idea che l’amore sia capace di elevare e purificare anche l’atto sessuale. Non il matrimonio rende sacra l’unione carnale, bensì l’amore, il sentimento in sé. E questo sentimento trova numerosi ostacoli, di ordine sociale, religioso e morale. Il rapporto tra l’amore assoluto e questi ostacoli  è proprio al centro della poesia dei trovatori.

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Buona fortuna! di Edmund Blair Leighton, 1900. Dama e cavaliere.

La donna, il chierico e il cavaliere

Esistono dei testi letterari del XII secolo che parlano di “corti d’amore” presiedute da principesse di alto rango dove due dame discuterebbero dei rispettivi meriti dei loro amanti. Di questi amanti uno è chierico, l’altro cavaliere: il chierico è colto e premuroso, è buon oratore e si trova sempre a corte, mentre il cavaliere si assenta spesso per fare guerre o tornei, però è bello, prode e virile. Inoltre l’amore con il chierico è clandestino in quanto egli non ha diritto ad avere una moglie o un’amante, mentre il cavaliere è libero di vivere alla luce del sole le sue relazioni. In ogni caso dal testo emerge che matrimonio e amore sono inconciliabili, perché il matrimonio implica doveri e obblighi.

Alla fine del XII secolo viene scritto anche un interessante trattato dal chierico Andrea Cappellano, il De amore, detto “trattato dell’amor cortese”. Questo testo ha un’ interpretazione controversa, ed è incentrato sulla descrizione delle forme possibili dell’amore. Cappellano sostiene che l’amore non sia cosa per villani (ad esempio per contadini, pastori ecc.), mentre le altre classi sociali possono provarlo; al chierico sarebbe vietato, ma egli è come gli altri uomini, e come a loro anche a lui l’amore è necessario; tuttavia la Chiesa proibisce l’amore fuori dal matrimonio. Questo conflitto espresso in letteratura è comunque la prova di un problema reale, un problema di costumi e di mentalità.

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Chrétien de Troyes, Lancillotto

 

L’amore è dunque compatibile con il matrimonio? Amore e cavalleria sono alleati o nemici? Chrétien de Troyes, il primo grande romanziere francese, ha cercato delle risposte a queste domande, dando vita al romanzo arturiano e contribuendo all’elaborazione dell’etica e dell’ideologia cavalleresca.