La Scapigliatura è una corrente letteraria sviluppatasi negli anni Sessanta dell’Ottocento. Ne fanno parte scrittori e poeti molto diversi tra loro ma accomunati da una stessa insoddisfazione per lo stato della letteratura italiana del loro tempo. Il termine deriva da un romanzo di Cletto Arrighi, intitolato appunto La Scapigliatura e il 6 febbraio. Il desiderio di questi intellettuali è opporsi a tutti gli ordini stabiliti, ribellarsi alla classe borghese, riprendere lo spirito bohémienne parigino, adattandolo al contesto italiano. Il centro propulsore della nuova corrente letteraria è Milano, città dove gravita anche la figura di Emilio Praga, autore della poesia-manifesto Preludio:

- Noi siamo i figli dei padri ammalati:
- aquile al tempo di mutar le piume,
- svolazziam muti, attoniti, affamati,
- sull’agonia di un nume.
- Nebbia remota è lo splendor dell’arca,
- e già all’idolo d’or torna l’umano,
- e dal vertice sacro il patriarca
- s’attende invano;
- s’attende invano dalla musa bianca
- che abitò venti secoli il Calvario,
- e invan l’esausta vergine s’abbranca
- ai lembi del Sudario…
- Casto poeta che l ‘Italia adora,
- vegliardo in sante visioni assorto,
- tu puoi morir!…Degli antecristi è l’ora!
- Cristo è rimorto!
- O nemico lettor, canto la Noia,
- l’eredità del dubbio e dell’ignoto,
- il tuo re, il tuo pontefice, il tuo boia,
- il tuo cielo, e il tuo loto!
- Canto litane di martire e d’empio;
- canto gli amori dei sette peccati
- che mi stanno nel cor, come in un tempio,
- inginocchiati.
- Canto le ebbrezze dei bagni d’azzurro,
- e l’Ideale che annega nel fango…
- Non irrider, fratello, al mio sussurro,
- se qualche volta piango:
- giacché più del mio pallido demone,
- odio il minio e la maschera al pensiero,
- giacché canto una misera canzone,
- ma canto il vero!
La poesia si apre con una dichiarazione categorica: i giovani della generazione di Praga (specie i poeti) sono figli di padri malati, padri incapaci di trasmettere valori solidi e ancora condivisibili. Sono come aquile nel periodo della muta delle piume, quando, impedite a librarsi in ampi voli, possono tutt’al più svolazzare vicino al loro nido, che però non garantisce protezione di un rifugio familiare, ma attesta il consumarsi di un disastro: il nume, il dio protettivo in cui si è creduto, sta morendo. Ormai la poesia religiosa ha esaurito la sua funzione, adesso anche il poeta simbolo di quella musa cristiana non può più comunicare nulla perché è l’ora degli anticristi, Cristo è morto nuovamente. I valori di cui si fa portatrice la spiritualità, la rettitudine, il rigore morale, la Provvidenza, sono tramontati e i nuovi autori al contrario cantano la Noia, l’eredità del dubbio e dell’ignoto: ormai la certezza positiva della fede è scardinata e domina un certo smarrimento, un’oscillazione maledetta tra una convinzione e l’altra.
Potremmo dire che qui il discorso si fa metaletterario, in quanto il poeta dichiara l’azione di “cantare” e si appella direttamente al lettore, definito “nemico” probabilmente in quanto membro della categoria borghese e benpensante. Il poeta scapigliato canta il vero, cioè la nuda e cruda realtà, con le sue brutture e contraddizioni, senza edulcorarla con maschere e ipocrisie.
Tuttavia la novità poetica prospettata è solo annunciata, ma non effettiva. La poesia rimane formalmente nel segno della tradizione (si notino le anafore vv. 6-7, 21-22, 25 e la cobla capfinida tra la seconda e la terza strofa), e dal punto di vista del contenuto sono fortissime le riprese dai Fiori del male di Baudelaire. Basta, a titolo di esempio, osservare l’explicit della famosa poesia finale della raccolta del poeta francese, Il viaggio:
E tanto brucia nel cervello il suo fuoco, / che vogliamo tuffarci nell’abisso, Inferno o Cielo, cosa importa? / discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo.
L’abisso, l’inferno, il loto, l’ignoto, sono tutti concetti che in qualche modo la Scapigliatura recupera e trasferisce poeticamente, replicando immagini ed espedienti letterari già usati da Baudlaire.