Osserviamo il sistema dei personaggi nella favola pastorale Aminta di Tasso. I nomi e i protagonisti appartengono chiaramente al mondo greco: Dafne, Silvia, Aminta, satiro ecc. La presenza del prologo ci rimanda anch’essa al dramma greco, fatto del resto comunissimo: nel Rinascimento il debito con il mondo classico è forte, e persino il teatro successivo ne rimane influenzato.
INTERLOCUTORI
AMORE, che fa il prologo
DAFNE
SILVIA
AMINTA
TIRSI
ELPINO
SATIRO
NERINA
ERGASTO, ovvero NUNCIO
CORO DE’ PASTORI
La prima rappresentazione dell’opera ebbe luogo con buone probabilità il 31 luglio 1573, al Belvedere di Ferrara. La prima stampa risale al 1580. La prima rappresentazione non contiene uno degli episodi, quello di Mopso.

GENERE
Ma cos’è una favola pastorale? Vediamo che l’espressione allude alla “fabula”, che in latino significa “testo drammatico” e al mondo dei “pastori”. Si trattava di una forma teatrale molto in voga tra gli autori dell’Umanesimo e del Rinascimento (specie nel contesto della corte ferrarese), la quale affonda le sue radici nella poesia pastorale latina (Virgilio e Teocrito). Vediamone le differenze con la commedia e la tragedia:
COMMEDIA | Vicenda comica di ambientazione cittadina, con esito felice |
FAVOLA PASTORALE | Temi sentimentali e seri, ambientati in un mondo favoloso; conclusione felice |
TRAGEDIA | Temi patetici e vicende drammatiche, conclusione molto infelice; tono alto e sublime |

olio su tela, cm 119 x 177,5
STRUTTURA E METRO
Cinque atti; versi endecasillabi e settenari.
INTENZIONI DELL’AUTORE
Il poeta celebra la vitalità dell’amore, la libertà degli impulsi e offre una proiezione idealizzata della corte ferrarese: egli infatti cela dietro ad alcuni protagonisti dei personaggi reali, ad esempio dietro Tirsi si nasconderebbe lo stesso autore, mentre Elpino evocherebbe la figura del segretario ducale Giovan Battista Pigna.
L’azione non avviene in scena, ma è il risultato dei racconti fatti dai vari personaggi.
SINTESI DELLE SCENE
PROLOGO
Amore, personificato e sotto “pastorali spoglie”, si presenta e presenta tutto il suo divino potenziale. Il fanciulletto si lamenta perché la madre Venere vorrebbe condizionarlo riguardo all’uso dell’arco e delle frecce, mentre il dio intende farne ciò che crede:
Io, che non son fanciullo,
se ben ho volto fanciullesco ed atti,
voglio dispor di me come a me piace:
ché a me fu, non a lei, concessa in sorte
la face onnipotente e l’arco d’oro.
Per sfuggire alla madre Amore trova riparo “ne’ boschi e ne le case
de le genti minute”. Con la sua “face infiammata” (così appare la sua arma) intende far innamorare la ninfa Silvia, riottosa all’amore. Eros non si cura dell’estrazione sociale delle sue vittime, e colpisce ugualmente pastori ed eroi:
Spirerò nobil sensi a’ rozzi petti,
raddolcirò de le lor lingue il suono,
perché, ovunque i’ mi sia, io sono Amore,
ne’ pastori non men che ne gli eroi,
e la disagguaglianza de’ soggetti,
come a me piace agguaglio.
Le Ninfe (greco antico: Νύμφη Nymphē, lett. “fanciulle” o “spose”) sono delle dee della religione greca; rappresentano le potenze divine dei boschi, dei monti, delle acque e delle sorgenti, degli alberi.

Vediamo che nel prologo Amore dà l’avvio alla vicenda, perché racconta della sua intenzione di cambiare l’atteggiamento aspro ed ostile della ninfa Silvia, che così subirà un’evoluzione.
ATTO PRIMO, SCENA PRIMA – Dafne e Silvia.
Dafne, amica di Silvia, tenta di convincerla a cedere alle lusinghe dell’amore, che le porterà la gioia di un figlio; ma la ninfa è decisa, il suo passatempo consiste solo nella “cura de l’arco e de gli strali”, nel “seguir le fere fugaci”, “e le forti atterrar combattendo”. Ma Dafne replica con una sentenza divenuta proverbiale:
Forse, se tu gustassi anco una volta
la millesima parte de le gioie
che gusta un cor amato riamando,
diresti ripentita, sospirando:
« perduto è tutto il tempo
che in amar non si spende:
o mia fuggita etate,
quante vedove notti,
quanti dì solitari
ho consumati indarno,
che si poteano impiegar in quest’uso,
il qual più replicato è più soave! »

Dafne riporta la sua esperienza: all’inizio anch’ella sentiva sdegno e vergogna di fronte a coloro che provavano amore per lei, infine però fu lei stessa ad essere vinta da questo sentimento. Dunque Dafne non si spiega da dove nasca l’odio di Silvia per il pastore Aminta, figlio di Silvano. L’amica spiega così ciò che prova:
Silvia– Faccia Aminta di sé e de’ suoi amori
quel ch’a lui piace: a me nulla ne cale,
e, pur che non sia mio, sia di chi vuole:
ma esser non può mio s’io lui non voglio;
né s’anco egli mio fosse, io sarei sua.
Dafne– Onde nasce il tuo odio?
Silvia– Dal suo amore.

ATTO PRIMO, SCENA SECONDA – Aminta e Tirsi
Come afferma Tirsi, amico di Aminta, l’amore si nutre di lacrime:
Pasce l’agna l’herbette, il lupo l’agne,
Ma il crudo amor di lagrime si pasce,
Nè se ne mostra mai satollo.
Aminta racconta a Tirsi di aver conosciuto Silvia da bambino e aver cacciato a lungo con lei; ad un tratto però si era accorto di provare un “incognito affetto” che lo spingeva a cercare sempre la compagnia della ninfa:
Sospirava sovente, e non sapeva
La cagion de’ sospiri.
Così fui prima Amante, ch’intendessi,
Che cosa fosse Amore.
Aminta racconta che un giorno grazie alla sua bocca e ad alcune magiche parole Silvia fece passare all’amica Fillide il dolore per una puntura d’ape. Aminta volle quindi avere un bacio dalla sua bella e perciò finse di essere stato punto da un’ape sul labbro.
Un giorno Aminta decise di dichiarare apertamente il suo amore, ma la reazione della ninfa non fu incoraggiante:
Silvia, le dissi, io per te ardo, e certo
Morrò se non m’aiti. A quel parlare
Chinò ella il bel volto, e fuor le venne
Un’improviso, insolito rossore,
Che diede segno di vergogna, e d’ira;
Né hebbi altra risposta, che un silentio,
Un silentio turbato, e pien di dure
Minaccie.
Silvia lo evita da quel di’ e Aminta si dichiara disposto a morire pur di suscitare in lei una qualche reazione.
CORO
Nel coro dei pastori si canta la felice età dell’oro, dove tutto nasceva in modo dolce e spontaneo e si agiva liberamente seguendo la norma del “se piace, è lecito”; al contrario l’onore, le regole della vita sociale, ingabbiano i liberi impulsi umani:
Ma sol, perché quel vano
Nome senza soggetto,
Quell’Idolo d’errori, idol d’inganno,
Quel, che dal volgo insano
Honor poscia fu detto,
Che di nostra natura ’l feo tiranno,
Non mischiava il suo affanno
Frà le liete dolcezze
De l’amoroso gregge,
Nè fù sua dura legge
Nota à quell’alme in libertate avvezze,
Ma legge aurea, e felice,
Che natura scolpì, S’ei piace, ei lice.
L’onore ha spinto a nascondere la bellezza, a reprimere gli istinti e la ricerca del piacere.
ATTO SECONDO, SCENA PRIMA – Satiro
Un satiro, attratto da Silvia, matura la decisione di usarle violenza. Spiega le sue intenzioni attraverso un monologo.

ATTO SECONDO, SCENA SECONDA- Dafne e Tirsi
Tirsi parla della naturalezza con cui le donne apprendono l’arte del sembrare belle, del piacere ad altri:
Ma, quale è così semplice fanciulla,
Che, uscita da le fascie, non apprenda
L’arte del parer bella, e del piacere,
De l’uccider piacendo, e del sapere
Qual arme fera, e qual dia morte, e quale
Sani, e ritorni in vita.
Dafne è al contrario molto preoccupata e non crede che sia facile persuadere Silvia; così si esprime poi sulle donne:
Hor, non sai tu, com’è fatta la donna?
Fugge, e fuggendo vuol, che altri la giunga;
Niega, e negando vuol, ch’altri si toglia;
Pugna, e pugnando vuol, ch’altri la vinca.
Dafne consiglia a Tirsi che Aminta si rechi alla fonte di Diana, dove troverà lei stessa e la ninfa Silvia.
ATTO SECONDO, SCENA TERZA – Aminta e Tirsi
Tirsi spiega ad Aminta che troverà l’amata “ignuda e sola” presso una fonte; la presenza di Dafne con lei sarà positiva e di aiuto. Tirsi convince Aminta, esitante, dicendo che “nulla fa, chi troppe cose pensa”:
CORO
Celebrazione di amore, degno maestro di se stesso. Infatti ad amare non si impara a scuola, ma con l’esperienza.
ATTO TERZO, SCENA PRIMA – Coro e Tirsi
In un confronto con il coro, Tirsi si dice preoccupato che Aminta voglia darsi la morte, vinto dal dolore per l’amore non ricambiato da Silvia, e dall’odio che lei gli dimostra. Tirsi racconta poi la vicenda dell’incontro tra Aminta e Silvia presso la fonte di Diana: la ninfa era stata assalita da un satiro che intendeva usarle violenza. Al suo arrivo, Aminta lo colpisce con un dardo e libera le mani di Silvia, che però non gli dimostra riconoscenza e fugge via.
ATTO TERZO, SCENA SECONDA – Aminta, Dafne e Nerina
Mentre Dafne consola Silvia, sopraggiunge Nerina, una ninfa amica, che si dice foriera di cattive notizie. Silvia è stata assalita da alcuni lupi, e verosimilmente questi l’hanno uccisa. A prova di quanto dice ha condotto con sé il velo di Silvia stessa. Aminta sviene e poi dice di volersi dare la morte.

ATTO QUARTO, SCENA PRIMA – Dafne, Silvia, Coro
Compare Silvia, che spiega come in realtà sia riuscita a salvarsi; saputo che Aminta intende uccidersi è colta da pietà e da pentimento per la sua passata crudeltà. Vorrebbe comprare la vita di Aminta con la sua.
ATTO QUARTO, SCENA SECONDA – Nuncio, Coro, Silvia, Dafne
Il nuncio dichiara l’avvenuta morte di Aminta, che si è gettato giù da un precipizio; Silvia ne rimane fortemente impressionata e sembra decisa ad abbandonare anch’essa la vita.
ATTO QUINTO, SCENA PRIMA – Elpino, Coro
Il saggio Elpino dà al coro una bella notizia: la caduta di Aminta non è stata fatale, perché è atterrato in primo luogo su un fascio di erbe, rami e spini. In quel momento sopraggiungono anche Silvia e Dafne, e la ninfa, visto l’innamorato ancora in vita, inizia a baciarne le labbra.

CORO
Celebrazione finale dell’amore, che dà dolori ma anche gioie.
Testo originale della favola: WIkisource