LETTERATURA ITALIANA

“La casa in collina” di Cesare Pavese


Trama
Il titolo del romanzo ci conduce già in un luogo significativo per vari aspetti, come si evince da questa citazione:
“Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere.
Siamo in estate durante la seconda guerra mondiale e Corrado, un insegnante di scienze che lavora a Torino, abita con due donne, Elvira e sua madre, in collina. Elvira nutre dei sentimenti per lui.
Una sera si sente l’allarme della guerra e il protagonista, rifugiatosi nel cortile di un’osteria, incontra una ragazza frequentata in passato: Cate. Con lei ha un breve colloquio che basta a fargli ripercorrere la vicenda amorosa che li ha legati, essenzialmente basata, per Corrado, su un approccio fisico, senza troppo sentimento.
Nonostante la sua noncuranza Corrado dovrà fare i conti con un bombardamento che probabilmente aveva fatto dei morti: giunto in una Torino semideserta, mentre la scuola è naturalmente chiusa, l’insegnante capirà meglio l’entità di quanto avvenuto. Passeggiando per la città Corrado ripensa alla sua relazione con Anna Maria, durata tre anni e non conclusasi col matrimonio programmato: si tratta di un’altra figura femminile il cui ricordo è misto a sentimenti di oppressione e quasi di rancore.
Corrado torna svariate volte alle “Fontane”, dove è l’abitazione di Cate e dove si trovano altri personaggi con cui l’insegnante dialoga sempre più spesso. Parlando con Cate scopre che lei ha un bambino; solo più tardi capirà che il nome Dino sta per “Corrado” e chiederà spiegazioni del nome alla madre. Corrado immagina infatti che si tratti di suo figlio. Dalla conversazione con Cate emerge che quest’ultima ha una chiarissima percezione della personalità del protagonista:

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“La guardai interdetto: – Non sono più buono, Cate? Anche con te, non sono buono più che allora?Non so, – disse Cate, – sei buono così, senza voglia. Lasci fare e non dai confidenza. Non hai nessuno, non ti arrabbi nemmeno.

– Mi sono arrabbiato per Dino, – dissi.

Non vuoi bene a nessuno.

– Devo baciarti, Cate?

– Stupido, – disse, sempre calma, – non è questo che dico. Se io avessi voluto, mi avresti baciata da un pezzo. – Tacque un momento, poi riprese: – Sei come un ragazzo, un ragazzo superbo. Di quei ragazzi che gli tocca una disgrazia, gli manca qualcosa, ma loro non vogliono che sia detta, che si sappia che soffrono. Per questo fai pena. Quando parli con gli altri sei sempre cattivo, maligno. Tu hai paura, Corrado.”

Si comprende la personalità distaccata dell’uomo dalle semplici parole di Cate, e lo stesso Corrado è assolutamente consapevole di essere “immune” in mezzo alle cose, come dichiara a se stesso, mentre riflette.
Un giorno alle Fontane si viene a sapere che Mussolini è caduto; Corrado teme che la guerra non finisca, ma anzi cominci, e in effetti gli eventi sembrano dargli ragione.
Il tempo trascorre per Corrado, riapre la scuola, passano le stagioni e lui rimane chiuso nelle sue abitudini e defilato rispetto a quanto di pericoloso e angosciante accade intorno a lui. I tedeschi catturano tutti gli abitanti dell’osteria tranne Dino, che Corrado porta da Elvira, mentre lui stesso su suggerimento della donna si rifugia al collegio di Chieri. La fuga era necessaria in quanto i tedeschi lo stavano cercando, erano andati anche a Torino per prenderlo.
Quando Corrado apprende che il collegio non è più sicuro, torna a casa di Elvira, mentre Dino, che viveva nel medesimo collegio, fugge. Corrado decide dunque di tornare al suo paese natale e viaggia attraversando conflitti tra tedeschi e partigiani, ma scampando sempre ai pericoli.
La sua vita è sempre stata una ricerca di isolamento, come lui stesso dichiara: “mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che giocando a nascondersi entra dentro un cespuglio e ci sta bene, guarda il cielo da sotto le foglie, e si dimentica di uscire mai più“.

Elementi stilistici
L’andamento del testo è paratattico e lo scorrere delle vicende avviene attraverso dialoghi tra una molteplicità di personaggi. Sembra che l’autore voglia replicare il modo di parlare degli abitanti del luogo e la loro mentalità popolana. La narrazione procede per elenchi e per suggestioni quasi casuali, disordinate. Le descrizioni sono appunto immagini improvvise caratterizzate da una tensione decisamente poetica, specie quelle relative alla campagna, al bosco, alla collina.

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Commento
Probabilmente la guerra nel romanzo è percepibile più come sfondo che come centro della storia: maggiore è l’indagine psicologica che emerge del protagonista attraverso il confronto con eventi, personaggi e situazioni. Interessanti alcuni dialoghi, specie quelli con Cate, mentre forse un po’ confusi risultano quelli, a tratti ellittici, con gli altri personaggi sul contesto bellico.

LETTERATURA LATINA

La guerra contro gli Elvezi (adattamento da Cesare, “De bello gallico”, libro 1 capitolo 12)

Flumen est Arar, quod per fines Haeduorum et Sequanorum in Rhodanum influit, incredibili lenitate. Id Helvetii ratibus ac lintribus iunctis superabant. Ubi per exploratores Caesar cognovit tres iam partes copiarum Helvetios id flumen traduxisse, quartam vero partem citra flumen Ararim relictam esse, de tertia vigilia, legionibus tribus e castris eductis, ad eam partem pervenit, quae nondum flumen superavĕrat. In eos impeditos et inopinantes impetu facto, magnam partem concidit; relĭqui sese fugae mandaverunt atque in proximas silvas abdidērunt. Is pagus appellabatur Tigurīnus; nam omnis civĭtas Helvetia in pagos divisa est. Hic pagus unus, patrum nostrorum memoriā, L. Cassium consulem interfecĕrat et eius exercitum sub iugum misĕrat. Ita sive casu sive consilio deorum immortalium quae pars civitatis Helvetiae insigni calamitate populo Romano adfecĕrat, ea princeps poenam persolvit.

Traduzione

L’Arar è un fiume che sfocia nel Rodano attraverso i territori degli Edui e dei Sequani con incredibile lentezza. Gli Elvezi lo attraversavano con barche e zattere unite. Quando Cesare grazie agli esploratori venne a sapere che ormai tre parti delle truppe degli Elvezi avevano oltrepassato quel fiume e che in verità la quarta parte era stata lasciata al di qua del fiume Arari, poco dopo la mezzanotte, dopo aver condotto fuori dall’accampamento tre legioni, giunse da quella parte che non aveva ancora superato il fiume. Compiuto l’assalto contro quelli, che erano ostacolati e sorpresi, ne trucidò la gran parte; gli altri si diedero alla fuga e si nascosero nei boschi più vicini. Quel villaggio era chiamato Tigurino; infatti tutta la cittadinanza degli Elvezi è divisa in villaggi. Questo unico villaggio, come ricordano i nostri padri, aveva ucciso il console Lucio Cassio e aveva mandato sotto il giogo il suo esercito. Pertanto o per caso o per volere degli dei immortali, la parte della cittadinanza degli Elvezi che aveva colpito il popolo romano con una grave perdita, quella per prima scontò la pena.

Cesare riceve l’ambasceria di Divicone sul fiume Arar, dopo la vittoria romana sugli Elvezi. Di Karl Jauslin – Andres Furger-Gunti: Die Helvetier: Kulturgeschichte eines Keltenvolkes. Neue Zürcher Zeitung, Zürich 1984, S. 111., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1579085
La posizione del fiume Arar, odierno Saona

LETTERATURA LATINA

Le conquiste di Cesare in Gallia – il territorio dei Galli secondo il “De bello gallico”

Di User:Feitscherg – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42753

Osserviamo sulla carta precedente le seguenti parole:

BRITANNIA, GALLIA CISALPINA, BELGICA, CELTICA, NARBONENSIS, GERMANIA, AQUITANIA

LA CAMPAGNA DI CESARE IN GALLIA

Nel 60 a.C Cesare strinse un accordo con Pompeo e Crasso, detto primo triumvirato.

Dal 59 a.C Cesare ricoprì il consolato e per i 5 anni successivi ottenne il governo della Gallia, dove avrebbe potuto distinguersi militarmente grazie alla conquista di nuovi territori.

Nel 58 le province romane erano solo due, la Gallia Narbonese (o Gallia Togata, dal nome della toga romana, corrispondente all’attuale Provenza) e la Gallia Cisalpina o Citeriore (Italia del nord). La parte non romana era la cosiddetta Gallia Comata.

Tra il 58 e il 57 a.C, Cesare sottomise i Galli e buona parte del loro territorio; nel 52 a.C assoggettò completamente la Gallia. Successivamente dalla Gallia Comata, Augusto creò tre nuove province, la Gallia Lugdunensis, la Gallia Belgica e l’Aquitania.

Principali battaglie:

  • 58 a.C guerra contro gli Elvezi
  • 58 a.C guerra contro Ariovisto e i Germani
  • 57 a.C guerra contro i Belgi
  • 56 a.C guerra contro i Galli veneti e aquitani
  • 55-4 a.C guerra contro Britanni e Germani
  • Guerra contro il capo degli Arverni Vercingetorìge e presa di Alesia

Cesare racconta le sue imprese in un’opera detta Commentarii de bello gallico , divisa in sette libri. Per rendere il racconto più oggettivo e attendibile usa la terza persona.

Nell’incipit della sua opera, Cesare descrive il territorio gallico.

ECCO LA GALLIA! (Cesare, De bello gallico, Libro I)

Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt. Gallos ab Aquitanis Garumna flumen, a Belgis Matrona et Sequana dividit. Horum omnium fortissimi (=i più impavidi) sunt Belgae, propterea quod a cultu atque humanitate provinciae longissime absunt, minimeque ad eos mercatores saepecommeant atque ea quae ad effeminandos animos pertinent important, proximique sunt Germanis, qui trans Rhenum incolunt, quibuscum continenter bellum gerunt. Qua de causa Helvetii quoque reliquos Gallos virtute praecedunt, quod fere cotidianis proeliis cum Germanis contendunt, cum aut suis finibus eos prohibent aut ipsi in eorum finibus bellum gerunt. Eorum una pars, quam Gallos obtinere dictum est, initium capit a flumine Rhodano, continetur Garumna flumine, Oceano, finibus Belgarum, attingit etiam ab Sequanis et Helvetiis flumen Rhenum, vergit ad septentriones. Belgae ab extremis Galliae finibus oriuntur, pertinent ad inferiorem partem fluminis Rheni, spectant in septentrionem et orientem solem. Aquitania a Garumna flumine ad Pyrenaeos montes et eam partem Oceani quae est ad Hispaniam pertinet; spectat inter occasum solis et septentriones.

Traduzione

La Gallia intera è divisa in tre parti, delle quali una è abitata dai Belgi, un’altra dagli Aquitani,  la terza da quelli che si chiamano Celti nella loro lingua, Galli nella nostra. Tutti questi sono diversi tra loro per lingua, istituzioni e leggi. Il fiume Garonna divide i Galli dagli Aquitani, la Marna e la Senna li separano dai Belgi. I più impavidi sono i Belgi, perché sono lontanissimi dal modo di vivere e dalla civiltà della provincia e i mercanti molto raramente si recano presso di loro e introducono quelle cose che mirano a rammollire gli animi e sono vicinissimi ai Germani, che abitano oltre il Reno, contro i quali combattono ininterrottamente. Per questo motivo gli Elvezi superano in valore anche gli altri Galli, poiché combattono battaglie quasi quotidiane contro i Germani, quando o li interdicono dai propri territori o loro stessi portano guerra nei loro. Una parte di quelli, che è stato detto appartiene ai Galli, inizia dal fiume Rodano, è cinta dal fiume Garonna, dall’Oceano, dai territori dei Belgi, tocca anche il fiume Reno dalla parte dei Sequani e degli Elvezi, è rivolta verso nord. La regione dei Belgi inizia dagli estremi territori, confina con la parte inferiore del fiume Reno, si estende al nord e verso il sole che sorge. L’Aquitania si estende dal fiume Garonna ai monti Pirenei e a quella parte dell’Oceano che volge alla Spagna; va da occidente a settentrione.

Di Cristiano64 – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28086024

Analisi lessicale:

Continetur: dal verbo della seconda coniugazione contĭnĕo , contĭnes, continui, contentum, contĭnēre, probabilmente composto di cum+teneo. Significato: “Tenere unito”, “tenere insieme”, “racchiudere”, “circondare”, “cingere”. Dal participio di questo verbo proviene l’ italiano “continente”:

continènte1 (ant. contenènte) agg. [dal lat. contĭnens -entis, part. pres. di continere «contenere», e, nel sign. 1, di contineri «contenersi»]. – 1. Che si contiene, si modera nella soddisfazione dei bisogni materiali e dei piaceri: è molto c. nel mangiare, nel bere, ecc.

continènte2 s. m. [dal lat. contĭnensentis (terra), part. pres. Di continere «contenere, congiungere», propr. «terra continua, non interrotta dal mare»]; 1. Ciascuno dei quattro vasti complessi di terre emerse, isolate da oceani. [Treccani]

Attingit: dal verbo della terza coniugazione attingo, attingis, attigi, attactum, attingĕre. Significato: “toccare”, in senso figurato “raggiungere”,
“confinare”.

Da questo verbo deriva l’italiano “attingere”:

attìngere (ant. e pop. tosc. attìgnere) v. tr. [lat. attĭngĕre, comp. Di ad– e tangĕre «toccare»] 1.letter. Toccare, raggiungere: come di Troia Attinsero le rive (V. Monti). Fig., ottenere, conseguire: a. la fama, la gloria; arrivare a comprendere: l’intelletto può a. le relazioni, e non la sostanza delle cose (F. De Sanctis). Con il sign. di raggiungere, arrivare a, si ha talora anche un uso intr.: a. alla fama; a. alla verità. 2. Levare, tirar su acqua da un pozzo, da una fonte e sim., con un secchio o altro recipiente: a. acqua dalla cisterna; era andato al ruscello ad a.acqua. Fig., ricavare, trarre: a. notizie dai giornali; a. esempî da testi antichi; a. nuove espressioni dalla fresca parlata del popolo; a. forza dalle parole di un amico. [Treccani]

Vergit: dal verbo della terza coniugazione transitivo e intransitivo vergo, vergis, vergere. Significato: intransitivo; in senso geografico, “essere rivolto o guardare verso”, “inclinarsi, digradare, declinare, estendersi, abbassarsi”; (intransitivo; del tempo) “essere o avvicinarsi alla fine”, (intransitivo; in senso figurato) “avvicinarsi, tendere, volgersi, essere propenso a, dirigersi”; (transitivo; passivo) “volgersi, dirigersi verso, inclinare”.

Da questo verbo deriva l’italiano convergere:

convèrgere v. intr. e tr. [dal lat. Tardo convergĕre, comp. Di con– e vergĕre «volgersi»–1.intr.a.Tendere, muovendo da punti diversi, verso un unico punto o limite: linee, raggi, strade che convergono. In matematica, con riferimento a serie numeriche, successioni e sim., lo stesso che tendere al limite. b. fig. Tendere insieme, esser rivolto a un medesimo fine:  i nostri sforzi, le nostre aspirazioni convergono. 2. tr., letter. Volgere, dirigere verso un punto o, fig., verso uno scopo:  Conversero la prora al campo argivo (V. Monti); c. gli occhi, la mente, gli sforzi. [Treccani]

Immagine esornativa

LETTERATURA LATINA

Le usanze dei Germani (adattamento da Cesare, “De bello gallico”, VI, 22)

Cesare descrive usi e costumi dei Germani.

Agri culturae non student, et magna pars eorum victus in lacte, caseo, carne consistit. Non habent agri modum certum aut fines proprios, sed principes in annos singulos gentibus cognationibusque hominum agrum adtribuunt numero aptum et, anno post alio, mutare sedem cogunt. Eius rei multae indicantur causae: ne, adsidua consuetudine capti, studium belli agri culturā commutent; ne latos fines parare studeant neve principes ex possessionibus humiles expellant; ne, contra frigora atque aestus, firmas casas aedificent; ne augeatur pecuniae cupiditas et eā causā factiones dissensionesque in civitate erumpant; ut animi aequitate principes contineant plebem, videntem opes suas cum illis aequari. Civitatibus summa laus est habere circum se solitudines: hoc proprium virtutis existimant, non concedĕre aliis ut apud se consistant.

TRADUZIONE

Non si occupano dell’agricoltura, e la gran parte del loro cibo è composto da latte, formaggio e carne. Non hanno una misura fissa di campi o territori propri, ma i nobili ogni anno assegnano alle famiglie e ai parenti di uomini un terreno adatto al numero e, anno dopo anno, costringono a cambiare sede. Sono indicate molte cause di questo fatto: affinché, presi da costante abitudine, non cambino con l’agricoltura l’impegno della guerra; affinché non si impegnino per ottenere territori ampi o i principi non estromettano gli umili dai possedimenti; affinché non costruiscano edifici stabili, contro il freddo e il caldo; affinché non aumenti il desiderio di denaro e per questo motivo esplodano fazioni e discordie in città; affinché i nobili contengano con l’equità d’animo la plebe, che vede pareggiare le proprie ricchezze con le loro. E’ motivo di molta lode per i cittadini avere intorno a sé solitudine: reputano questo proprio del valore, non concedere agli altri di fermarsi presso di loro.

Rappresentazione pittorica di un assalto di popolazioni germaniche all’esercito romano. Di Otto Albert Koch – http://www.lwl.org, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6381946

COMMENTO

Per come è vista da Cesare, la cultura germanica appare molto differente dalla civiltà romana. Infatti i Germani non praticano l’agricoltura e si nutrono di carni e latte. Non sono sedentari e cambiano sede continuamente, affinché non si rammolliscano e non si leghino troppo alla terra. Infatti edifici stabili abituano a una certa comodità, mentre i Germani devono mantenere una tempra durissima per fronteggiare guerre e asperità del clima.

Inoltre la proprietà privata è rischiosa anche perché potrebbe incentivare alcuni a volerne conquistare sempre di più e i principi a spodestare i più umili. La terra dunque può essere motivo di conflitto, che i capi vogliono evitare.

La solitudine è un valore, sono reputati infatti migliori coloro che hanno la capacità di non far avvicinare nessuno.

Il testo è attraversato da numerose proposizioni finali, affermative e negative, con il verbo al congiuntivo presente.

LETTERATURA LATINA

Le navi romane contro l’alta marea (adattamento da Cesare, “De bello gallico”, IV, 29)

Cesare tenta una spedizione in Britannia, ma le sue navi, ancorate alla costa, sono sorprese dall’alta marea.

Eadem nocte luna plena erat, quae maritimos aestus magnos in Oceano efficĕre consuevit, nostrisque id erat incognitum. Ita uno tempore et longas naves, quas Caesar in aridum subduxerat, aestus complebat, et onerarias, quae ad ancoras erant deligatae, tempestas adflictabat, neque Romani ullo modo aut naves administrare aut laborantibus auxilium ferre valebant. Multis navibus fractis, quia reliquae, funibus, ancoris reliquisque armamentis amissis, ad navigationem inutiles erant, totus exercitus magna perturbatione captus est. Neque autem exercitum in Galliam reducere debebat quod frumentum in his locis in hiemem provisum non erat.

Nella stessa notte la luna era piena, la quale era solita creare alte maree sull’Oceano, e questo fatto era sconosciuto ai nostri. Così allo stesso tempo sia la marea riempiva le navi lunghe che Cesare aveva tratto sulla terra, sia la tempesta percuoteva le navi da carico che erano state legate alle ancore, né i Romani in alcun modo riuscivano a governare le navi o a portare aiuto a quelle in difficoltà. Dopo la distruzione di molte navi, poiché le altre, essendo state perse funi, ancore e altri armamenti, erano inutili alla navigazione, l’intero esercito fu colto da grande turbamento. Né infatti c’erano altre navi per i soldati e molti strumenti, che erano per uso delle imbarcazioni, erano stati distrutti. Tuttavia Cesare doveva riportare l’esercito in Gallia poiché in questi luoghi in inverno non era stato procurato il frumento.

ANALISI:

Eadem nocte: complemento di tempo;

quae: pronome relativo femminile singolare nominativo (antecedente: luna);

maritimos aestus: accusativo plurale maschile – maritimos può essere sottinteso, l’espressione indica l’alta marea;

efficĕre: infinito dipendente da consuevit;

ferre: infinito del verbo “fero”;

Multis navibus fractisamissis: ablativi assoluti;

magna perturbatione: ablativo di causa efficiente;

in his locis: complemento di stato in luogo;

provisum non erat: piuccheperfetto passivo, terza persona singolare.

Cesare in Britannia – INTERFOTO / History